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Il centro storico visto da dentro: la ricerca di Happyesse mostra un quartiere diverso da come lo immaginiamo
21 Nov 2025 10:34
RAGUSA – Una fotografia inedita, a tratti sorprendente, del cuore urbano di Ragusa. È quella che emerge dall’analisi partecipata di comunità condotta dall’associazione Happyesse, un lavoro di ricerca qualitativa – rigoroso, articolato, innovativo – che ha coinvolto 281 persone, tra residenti, commercianti, parrocchie, operatori sociali e cittadini stranieri.
Il risultato è un report che smonta alcuni luoghi comuni, ne conferma altri e restituisce un quadro complesso fatto di percezioni, numeri reali e sentimenti che abitano il centro storico ogni giorno.
L’indagine è stata presentata nel corso di un incontro pubblico al Centro Commerciale Culturale “Mimì Arezzo”.
Il dato che stupisce: il centro storico NON si sta spopolando
Uno dei risultati più inattesi riguarda proprio la popolazione residente.
✔ +16,6%: è l’aumento complessivo dei residenti nel centro storico negli ultimi 10-15 anni.
✔ Gli stranieri erano il 20,7% nel 2009, oggi sono il 22,6%: un aumento contenuto, NON un’invasione improvvisa.
✔ Tuttavia, gli stranieri crescono in percentuale più degli italiani: +27% contro +13,8%.
Il centro, quindi, non si svuota, ma cambia equilibrio interno: aumentano i residenti stranieri in proporzione, mentre la presenza fisica quotidiana degli italiani nel quartiere diminuisce.
Perché allora la percezione è così diversa?
La ricerca individua tre possibili spiegazioni:
1. Visibilità
Gli stranieri non sono molti di più, ma sono più presenti negli spazi pubblici.
Al contrario, molti residenti italiani vivono meno la strada, creando una percezione distorta.
2. Il modo di abitare
Curiosamente, nonostante la crescita demografica:
- si osservano molte case chiuse,
- numerosi cartelli vendesi/affittasi,
- immobili abbandonati.
Il quartiere è dunque più popolato sulla carta che nella vita quotidiana.
3. I “non registrati”
Esiste una quota “invisibile”:
- lavoratori stagionali
- persone in subaffitto
- ospiti temporanei
- persone non ancora registrate all’anagrafe
Questa popolazione contribuisce alla sensazione di “cambiamento improvviso”.
Il quadro emotivo: rabbia, sfiducia, senso di abbandono
Oltre ai numeri, la ricerca misura il sentimento collettivo.
Ed emerge un dato forte: parlare del centro storico significa toccare un nervo scoperto, come ha evidenziato Filippo Spadola.
Le parole ricorrenti nelle interviste:
- sfiducia
- rabbia
- stanchezza
- senso di isolamento
- scarsa identità comunitaria
Il dato più eclatante è la propensione a lasciare il quartiere, molto alta tra i residenti storici.
Letizia Zanini sottolinea che la percezione emotiva è un dato reale quanto i numeri: aiuta a comprendere l’identità di un territorio oltre la statistica nuda.
Italiani e stranieri: due visioni quasi opposte della convivenza
Interessante un altro passaggio del report:
- Gli italiani tendono a descrivere la convivenza in modo problematico.
- Gli stranieri la descrivono invece in modo più positivo:
84,2% di loro dichiara di sentirsi integrato, almeno parzialmente.
Gli stranieri considerano risorse:
- il vicinato
- il lavoro
- la comunità religiosa
Gli italiani percepiscono più frequentemente:
- degrado
- mancanza di sicurezza
- solitudine sociale
Una distanza che rivela un centro storico con due comunità che si incrociano, ma raramente dialogano.
La multiculturalità: risorsa o minaccia? Dipende dal punto di vista
Le comunità straniere sono ormai parte integrante del tessuto demografico del centro. E non da oggi: già nel 2009 rappresentavano un quinto della popolazione.
Ci sono dati curiosissimi:
- l’89% dei marocchini residenti in città vive nel centro storico;
- anche l’82% delle comunità provenienti dall’Africa sub-sahariana è concentrato qui;
- oltre metà dei rumeni, tunisini e albanesi vive anch’essa nel cuore della città.
Non sorprende quindi che, nelle percezioni dei residenti storici, si parli spesso di un “ghetto al contrario”.
La scuola di via Ecce Homo, per esempio, è citata come simbolo: quasi tutti gli alunni sono stranieri, e questo alimenta ulteriormente la sensazione di “minoranza in casa propria”.
Ma ci sono anche testimonianze sorprendenti, che rovesciano lo stereotipo:
molte famiglie straniere vivono il quartiere con un senso di comunità e socialità che i ragusani stessi hanno perso.
I bambini giocano in strada, le famiglie frequentano le piazze, i genitori si impegnano per dare ai figli un futuro.
Paradossalmente, sono gli stranieri a tenere vivo lo spazio pubblico del centro.
Il vero problema? Non l’immigrazione, ma l’assenza di una visione condivisa
Il dossier mostra chiaramente che la comunità locale fatica a immaginare un futuro collettivo.
Le risposte dei residenti e dei testimoni privilegiati rivelano:
- difficoltà a passare dal lamento alla proposta;
- incapacità di indicare interventi concreti, anche minimi;
- desiderio diffuso di “andare via”, verso zone più moderne o percepite come più sicure.
Quando si chiede: “Qual è la direzione per il futuro del quartiere?”, la risposta più frequente è:
“Non lo so”.
Il quartiere appare come un luogo che tutti amano e rimpiangono, ma che pochi sono disposti a vivere ogni giorno.
La desertificazione commerciale: colpa dei negozi o delle abitudini dei cittadini?
Altro punto interessante: i negozi chiudono, sì. Ma non solo per ragioni economiche o amministrative.
La ricerca sottolinea un comportamento diffuso:
- i residenti del centro non fanno acquisti nel centro;
- preferiscono centri commerciali, supermercati, grandi catene;
- vivono il quartiere solo come “servizio”, non come luogo da sostenere.
Un passaggio folgorante del dossier sintetizza tutto:
“Il cuore altrove. Il portafoglio pure.”
È una fotografia quasi perfetta della Ragusa contemporanea: si ama il centro, ma si investe altrove.
Chi ci vive davvero? Un quartiere che cambia ritmo e identità
La popolazione del centro storico è più giovane di quanto si pensi, più dinamica, più mobile.
Si registra un alto numero di:
- famiglie straniere con bambini;
- single e persone sole;
- anziani storici che resistono;
- piccoli commercianti, spesso non ragusani.
Il quartiere è pieno, ma è anche fragile.
Manca la classe media ragusana, quella che un tempo garantiva stabilità, socialità, presidio, economia.
Senza questa componente, il quartiere oscilla tra:
- vitalità multiculturale,
- nuove povertà,
- reti di solidarietà spontanea,
- mancanza di una regia identitaria.
Un quartiere percepito senza luoghi di comunità
Le interviste mettono in luce un lamento comune:
non esistono più spazi di incontro e integrazione.
Villa Margherita è citata come esempio perfetto: bellissima, centrale, potenzialmente simbolica.
Ma ormai frequentata quasi esclusivamente da famiglie straniere. Questo crea un cortocircuito:
- chi potrebbe “contaminarla” evitando la separazione… non la frequenta;
- chi la frequenta la vive come spazio di normalità, non di integrazione.
Anche gli oratori svolgono un ruolo importante, ma non bastano per un quartiere così esteso.
Le conclusioni della ricerca: un quartiere in bilico
L’indagine Happyesse individua alcuni punti chiave:
1. Esiste una distanza tra percezione e realtà
Ma la percezione è essa stessa un dato di realtà.
2. Il quartiere non perde popolazione
Perde presenza, identità e vivibilità.
3. La presenza straniera è sovrastimata
Perché è più visibile, non più numerosa.
4. La percezione emotiva negativa è un allarme sociale
E può condizionare decisioni politiche e scelte individuali (trasferirsi, non investire, non aprire negozi).
5. La rigenerazione passa dalla comunità
Non basta il restauro fisico: serve ricostruire il “senso di luogo”.
Il commento dell’Amministrazione: dati utili per il futuro
Durante la presentazione, il sindaco Peppe Cassì ha definito la ricerca “utile e sorprendente”, soprattutto perché ribalta il luogo comune dello spopolamento.
L’assessore al Centro Storico Giovanni Gurrieri ha ricordato:
- il nuovo regolamento per le incentivazioni del centro storico
- i contributi per studenti universitari che vogliono trasferirsi a Ragusa
- i premi di insediamento per under 40
- il piano particolareggiato in fase di definizione
- le iniziative per rigenerare edifici come l’ex Convento Santa Maria del Gesù
- i nuovi controlli interforze per garantire sicurezza
L’assessore Giovanni Iacono, delegato alla sanità e sviluppo di comunità, ha offerto un’analisi ampia:
- la ricerca ricorda i grandi studi sociologici su Ragusa del 1957
- le politiche urbanistiche del passato hanno svuotato il centro
- oggi oltre il 65% del patrimonio edilizio risulta non utilizzato
- la perdita di funzioni urbane ha indebolito identità e coesione
L’indagine, ha concluso, offre informazioni strategiche per orientare interventi concreti.
Conclusione del dossier
Questo studio rappresenta uno dei materiali più preziosi degli ultimi anni per chi si occupa di:
- rigenerazione urbana
- politiche sociali
- pianificazione urbana
- convivenza interculturale
- identità dei quartieri storici
Il centro storico di Ragusa emerge come:
- luogo vivo ma percepito come spento
- luogo abitato ma percepito come svuotato
- luogo plurale ma percepito come diviso
- luogo ferito ma potenzialmente rinascente
Una comunità che chiede ascolto, dati, verità e, soprattutto, interventi concreti.
La squadra di ricerca
A condurre l’indagine è stata un’equipe multidisciplinare:
- Filippo Spadola – curatore del disegno di ricerca e del report
- Letizia Zanini – autrice degli strumenti di ricerca, intervistatrice, co-curatrice del report
- Paolo Pricone – rilevatore e responsabile dell’elaborazione dati
- Angela Salerno – rilevatrice
- Sara Menucci – rilevatrice
- Marco Carnemolla – coordinatore del progetto
Il lavoro rientra nelle attività di sviluppo di comunità e si collega al percorso del bilancio partecipativo.



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