IL CARCIOFO: L’ALLEATO NUMERO UNO DOPO LE VACANZE NATALIZIE

 Il carciofo è una pianta spinosa simile al cardo, coltivata in Italia e in altri Paesi per uso alimentare e, secondariamente, medicinale. È un alimento costituito dai fiori non completamente dischiusi. Dal punto di vista botanico, il carciofo è un’infiorescenza a capolino, per lo più di colore verde tendente al grigio cenere, e vi sono anche delle varietà tendenti al violetto. Le brattee, le squame compatte che formano il capolino, possono avere spine oppure no, e variano a seconda della dimensione. I fiori sono riuniti in un capolino di forma sferoidale, conica o cilindrica, di 5-15 cm di diametro, e sono azzurro-violacei. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, comunemente chiamato cuore. I carciofi più grossi hanno una peluria (detta barba), nella parte interna, tra le foglie e il cuore, che va eliminata. Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri tra cui: presenza e sviluppo delle spine, colore del capolino e varietà autunnali e primaverili.

 

Il basso contenuto calorico fa sì che il carciofo sia molto indicato nelle diete dimagranti, ma questa è solo una delle numerose applicazioni di questo alimento. I fiori, come quelli del cardo, contengono il lab-fermento (chimosina o rennina, usata anche come caglio del latte), la cui azione probiotica a livello intestinale è stata ampiamente studiata. I carciofi sono poi molto ricchi di fibre e di minerali, mentre è relativamente basso il loro contenuto di sodio. Seppur non ricchissimi di vitamine, presentano comunque un buon contenuto di vitamina A, C e folati; possono essere mangiati da tutti e a tutte le età, perché facilmente digeribili (a meno che non si soffra di colite acuta).

 

Gli estratti di carciofo hanno mostrato in studi clinici di migliorare la coleresi e la sintomatologia di pazienti con dispepsia e disturbi funzionali del fegato. La cinarina, un polifenolo derivato dell’acido caffeico interno alla pianta, ha mostrato di essere efficace come rimedio ipolipemizzante naturale: essa, infatti, sembra stimolare la secrezione biliare da parte delle cellule epatiche, e aumentare l’escrezione di colesterolo e di materia solida nella bile. I derivati dell’acido caffeico in genere mostrano effetti antiossidanti e epatoprotettivi. La medicina naturale e la fitoterapia, infatti, usano il carciofo nel trattamento dei disturbi funzionali della cistifellea e del fegato, delle dislipidemie, della dispepsia non infiammatoria e della sindrome dell’intestino irritabile.

 

Il carciofo contiene anche inulina e acido clorogenico, un acido fenolico con proprietà antiossidanti.

L’inulina, in particolare, è un oligosaccaride con funzione di riserva dei carboidrati, che funziona indipendentemente dall’insulina. L’inulina negli ultimi anni è stata sempre più oggetto di studio, ed è stato dimostrato che essa migliora la digestione, contribuisce a ridurre la formazione di gas e riequilibra la microflora batterica intestinale: la sua assunzione comporterebbe, infatti, uno spiccato aumento di Bifidobatteri e Lattobacilli (ceppi batterici importantissimi per una corretta digestione e per la salute del colon), e una contemporanea diminuzione di altri ceppi batterici ritenuti nocivi. Come fibra alimentare, l’inulina favorisce inoltre la peristalsi intestinale.

 

Dopo le feste natalizie, potrebbe essere necessario aiutare un fegato appesantito dagli eccessi alimentari, e per accelerare tale processo il carciofo può essere realmente d’aiuto, grazie alle proprietà sopra descritte e, in particolare, alla cinarina: dato, però, che questa è termolabile, si altera cioè con la cottura e perde gran parte delle sue proprietà, sarebbe meglio mangiare il carciofo crudo o, se cotto, consumare anche l’acqua di cottura.

È bene tenere presente, inoltre, che il carciofo crudo o lesso ha proprietà depuranti per il fegato, mentre se fritto ha un’azione stimolante. Quindi, nei primi giorni sarebbe più indicato consumarlo crudo e sotto forma di tisana, per poi inserire preparazioni più elaborate (dorato-fritto, fritto in pastella, ripieno) con effetto di stimolazione diretta sul fegato.

Secondo la scuola di Bioterapia nutrizionale, infatti, la preparazione del carciofo determina il suo effetto finale sull’organismo. Tre modalità, in ordine progressivo, esplicano il maggior effetto stimolante a carico della funzionalità epatica: carciofo fritto in pastella, panato e dorato-fritto. La frittura va sempre fatta utilizzando olio extravergine di oliva, e mai olio di semi.

Fritto in pastella, facendo cioè un impasto con acqua e farina, il carciofo conserva al suo interno tutti i nutrienti e stimola la motilità colecistica; la presenza di un solo tipo di grasso (quello vegetale dell’olio extravergine d’oliva), rende questa modalità di preparazione utilizzabile anche quando il fegato si trova in condizioni di notevole difficoltà funzionale.

Il carciofo panato costituisce uno stimolo più intenso di quello in pastella, ma più moderato rispetto al carciofo dorato-fritto, poiché viene messo prima nell’uovo e poi nel pan grattato. Quest’ultimo è un pane tostato che ha perso l’azione inibente del lievito a carico della funzionalità epatica e ha subito, attraverso la tostatura, la trasformazione dell’amido in zuccheri più semplici; inoltre, la sua presenza all’esterno dell’uovo (che quindi non si troverà a diretto contatto del calore) contribuisce a impedire una eccessiva penetrazione dell’olio fritto nella struttura dell’alimento.

Nel carciofo dorato-fritto (passato prima nella farina e poi nell’uovo) lo stimolo viene decisamente aumentato, in quanto c’è l’aggiunta dei lipidi e del colesterolo dell’uovo; quest’ultimo induce una intensa contrazione della colecisti e, in soggetti predisposti, può provocare l’insorgenza di una colica biliare.

Il carciofo deve quindi alla combinazione di cinarina, fibre, inulina, elevata percentuale d’acqua e flavonoidi le sue proprietà depurative e diuretiche. Lo si utilizza, inoltre, per il suo sapore amaro, in caso di nausea e vomito, intossicazione, stitichezza e flatulenza. La sua attività depurativa, derivata dall’azione su fegato e sistema biliare e sul processo digestivo, fa sì che venga usato anche per dermatiti legate a intossicazioni, artriti e reumatismi, come anche per ottimizzare il metabolismo dell’etanolo. Unica controindicazione: pare che nella donna in allattamento ostacoli la fisiologica produzione di latte, e se ne sconsiglia l’uso anche a chi soffre di calcolosi biliare.

 

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