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I MINORI POVERI
16 Lug 2013 05:54
Il lavoro minorile rappresenta per quantità e qualità una delle peggiori piaghe economiche e sociali del nostro paese. Eppure non se ne parla quasi mai e i mass media vi dedicano qualche spazio solo quando si compie la tragedia (il bambino travolto da un trattore, il giovane immigrato che cade da un’impalcatura, ecc. ).
Nell’immaginario collettivo il lavoro minorile è il cucitore di palloni in India o il raccoglitore di cacao in Costa D’Avorio. Al più è il bambino cinese che, in uno scantinato a Prato, viene scoperto dai carabinieri e tutto finisce lì. Il lavoro minorile non riguarda però “solo” il sud povero del mondo e, pur nella drammaticità dell’immigrazione irregolare, non si “limita” a negare il diritto a un infanzia felice “solo” a qualche bambino con gli occhi a mandorla o la pelle scura.
Il lavoro minorile riguarda almeno 400 mila minori di cui più della metà italiani, rappresentano non una semplice eredità del passato – che frettolosamente si cerca di dimenticare – ma un tratto sempre più diffuso e specifico del nostro modello di sviluppo, dove povertà materiale e esclusione sociale vanno aumentando nelle nostre città e nei nostri quartieri.
Secondo i dati rilevati della Cgil si stimano che siano almeno 400 mila i ragazzi e le ragazze con meno di 15 anni (età minima prevista per legge) che lavorano; per l’Istat sono 144 mila. Il fenomeno in quanto tale, nella sua pluridimensionalità, non permette precisione assoluta che comprendesse tutti i minori presenti in Italia che svolgono qualsivoglia prestazione retribuita (o retribuibile) per almeno più di 2 ore al giorno.
Anche solo stando alla cifra Istat questa rappresenterebbe una stima che ci colloca ben oltre la media dell’1,5% degli altri paesi europei (battuti solo da Grecia, Portogallo e Spagna del Sud) e che nasconde forme di esclusione e di disagio economico, culturale e sociale (oltre che di concorrenza sleale) inaccettabili per un paese civile.
Va anche precisato come il lavoro minorile rappresenti una “patologia nella patologia” in riferimento alla più ampia questione del lavoro nero (sono circa 6 milioni i lavoratori irregolari, per un “valore” stimato tra il 16 e il 20% del Prodotto Interno Lordo, secondi solo alla Grecia e superati persino dalla Spagna).
Sempre secondo l’Istat, poi lavorano nel nostro paese più di 12 mila bambini tra i 7 e i 10 anni, 66 mila tra gli 11 e i 13 anni e 69mila ragazzi quattordicenni. Sulla media della popolazione giovanile totale stiamo parlando di percentuali notevoli: più del 3,1% (con il nord est che occupa il 19, 4% del totale dei lavoratori under 14, 14,1% nel nord ovest, 13,9 nel sud, 12,3 nelle isole e 9, 6% nel centro Italia).
Ragazzi che svolgono mansioni povere: camerieri, commessi, operai nei laboratori, operaie cottimiste nel settore tessile, agricoltori. Una parte, statisticamente individuata tra il 4 e il 7%, lavora organicamente addirittura in attività criminali.
Tra tutti i dati sconvolgenti due colpiscono particolarmente: tra i bambini di 7 e 10 anni che lavorano, l’ 87% di questi proviene da famiglie sotto o ai limiti della soglia di povertà, il 99% di queste rientrerebbe nelle soglie per aver diritto al reddito minimo di inserimento così come sperimentato nella passata legislatura; nella fascia 13-14 si registra una dispersione scolastica nell’ultimo anno (14°) pari al 78%.
Povertà e degrado culturale sono quindi le principali cause del ricorso al lavoro minorile.
L’Italia è al 2° posto in Europa per la più alta percentuale di minori che vive sotto la soglia di povertà. Il 17% di minori in Italia è povero; al Sud la percentuale arriva al 29. 1%. Nel panorama generale della povertà, la fascia di età fino ai 18 anni è la più povera insieme a quella che comprende chi ha più di 65 anni. Questi dati allarmanti collocano la povertà dei minori tra i problemi cruciali del nostro paese perché, in assenza di mirate politiche di inclusione sociale che abbiano al centro la formazione scolastica e professionale, i minori poveri oggi sono destinati a rimanere poveri per tutto il corso della loro difficile vita.
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