I cento anni dell’ex Fornace Penna a Sampieri. Il 26 gennaio 2024 ricorre l’anniversario dell’incendio doloso che la danneggiò fino a metterla fuori uso

Sito sul pianoro di Pisciotto al confine fra le borgate di Sampieri e Marina di Modica, è un “bene” su cui ricadono una sfilza di vincoli. Ad elencarli tutti c’è da stare attenti per il dubbio che qualcuno rimanga fuori dall’elenco: su di esso c’è il vincolo di tutela della fascia costiera L. 431/85, il vincolo paesistico L. 5553/93, il vincolo paesaggistico, il vincolo di immodificabilità dei luoghi art. 15 L.R. 78/76, il vincolo di bene culturale “Archeologia industriale D.D.S. n. 7018/2009, il vincolo per luogo del cinema ed il Decreto assessoriale n. 8410/2009 che regola la promozione e la corretta gestione dei Luoghi dell’Identità e della Memoria. Di più non si può, quasi certamente. Ma ci sono anche gli interrogativi. I vincoli, cui è stata sottoposta l’ex Fornace Penna, hanno portato benefici all’immobile, una delle poche testimonianze di archeologia industriale nell’isola di Sicilia costellata sulla sua costa da tonnare e saline, o hanno fermato quegli interventi ricostruttivi che l’avrebbero fatta rinascere. Di certo è un biglietto da visita per la parte sud-orientale dell’isola: la si scorge passando dal Canale di Sicilia a bordo di imbarcazioni più o meno grandi, la si ammira da vicino attraversando la litoranea che congiunge i versanti orientali ed occidentali dell’isola.

La storia.

E’ stata realizzata dai Baroni Penna di Portosalvo tra il 1909 e il 1912  su progetto dell’ingegnere Ignazio Emmolo, che si laureò in matematica a Catania ed in ingegneria civile a Napoli nel 1895. Per essa è stato scelto il sito di “Punta Pisciotto”, su un terreno appartenente ai Baroni Penna, a ridosso del mare. Scelta legata a più motivi: il fondale sufficientemente profondo da consentire l’attracco delle navi, la presenza della ferrovia con la rete ferrata che corre a  monte della provinciale, la vicina cava di argilla, a circa 200 metri, per la materia prima, la disponibilità di abbondante acqua da una sorgente carsica locale. Il forno era di tipo Hoffmann e si componeva di sedici camere disposte ad anello lunghe cinque metri e larghe tre e mezzo ciascuna. Il tiraggio forzato veniva esercitato da una ciminiera alta 41 metri e lo stabilimento era lungo 86 metri. La parte orientale, lunga 32 e larga 25 metri, era destinata al macchinario. La sala macchine ospitava due polverizzatori a martello, un’impastatrice ad eliche grandi, rifornita da elevatori a tazze, due laminatori con filiere per la produzione di gallette, laterizi forzati e tegole curve o coppi, una pressa a revolver per la produzione di tegole alla marsigliese, una pressa per la produzione di tegole di colmo. Esisteva pure un piccolo vano per la fabbricazione di stampi, tegole marsigliesi e rulli di scorrimento per i carrelli delle filiere.

Lo stabilimento produceva laterizi che venivano esportati in molti paesi mediterranei: gran parte di Tripoli (Libia) dopo la guerra del 1911 è stata costruita con laterizi del “Pisciotto”.

In quello stabilimento si lavorava dalla sei del mattino sino all’imbrunire, da maggio a settembre; con le prime piogge la Fornace Penna veniva chiusa. Vi hanno trovato occupazione un centinaio di operai in età compresa tra i 16 e i 18 anni. La cessazione dell’attività dello stabilimento è riconducibile alla notte del 26 gennaio 1924, a causa di un incendio doloso che lo distrusse in poche ore. Una lettera abbandonata nei pressi attribuisce alla politica l’estremo gesto dell’incendio. Nel XXI secolo, grazie anche al fascino delle sue rovine, la Fornace Penna è stata apprezzata dal mondo culturale ed artistico ed è stata utilizzata come set cinematografico: è “la Mànnara” nell’episodio “La forma dell’acqua” di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano ed è definita dal critico d’arte Vittorio Sgarbi “una basilica laica in riva al mare”.

I cento anni la trovano così come è diventata nel tempo, quasi un rudere.

Promesse tante ma azioni nessuna. Fra assicurazioni (dalla politica), impegni, ricorsi ed  annunci di espropri si va avanti. Anzi si arranca senza che nessuno prenda delle decisioni reali capaci di fare rinascere l’ex opificio. E se gli annunci dei ricorsi agli espropri dovessero essere messi nero su bianco da parte degli eredi (a contarli sarebbero ventidue), proprietari dell’immobile e del terreno che lo circonda, c’è il serio rischio che il suo futuro diventi sempre più grigio.

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