Ho incontrato il fantasma di Franco Battiato

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola
“Houston! … qui Ragusa.”

Una serata di grazia. Finalmente.
L’altro ieri, in questo scoppiettante esordio di dicembre, ho assistito alla presentazione del romanzo “La scomparsa misteriosa e unica di Franco Battiato”, a Ragusa, presso Il Centro Commerciale Culturale di via Matteotti. Una location davvero suggestiva e a tratti labirintica, siccome una delle opere del maestro.
A fare gli onori di casa, i due brillanti autori (all’anagrafe La Monica e Piccinno), due “gemelli diversi” vestiti d’arancio, laddove l’arancione però non intendeva alludere alle restrizioni, bensì ai respiri di una gloriosa e calcistica libertà: i Van De Kerkhof, come amano farsi chiamare o, come li ho ribattezzati io, gli “Olandesi Volanti”. Pungolati dagli ottimi provocatori, Russo e Traina, hanno dato vita a una conversazione amena, peraltro impreziosita dalle letture di stralci del libro (graditissima la voce femminile).

Il romanzo sembrerebbe incentrato sull’enigma della sparizione improvvisa e inspiegabile dell’uomo Battiato, anni prima della sua morte. Cosa mai si cela dietro la dissolvenza scenica che è stata il lungo preludio di quella terrena?
La mia idea è che, in questa chiave, il testo celebri la psicologia del “non addio”. Secondo una liturgia che direbbe una cosa precisa: l’immortalità non riposa tanto nelle opere che l’artista consegna al mondo. L’immortalità freme nelle domande che egli lascia dietro di sé.

Il dilemma non amletico del nascondimento di Battiato spettina le idee e le emozioni e le azioni investigative di un giornalista devoto, tale Federico Falco, sopraggiunto nel nostro angolo di Sicilia per annusare le tracce odorose delle sue suggestioni vagamente letterarie, quando non esoteriche.
Per un’insolvibile alchimia della sorte, Falco intercetta creature e persone che, a loro volta, hanno toccato il destino ultimo dell’artista nel suo esilio dorato in quel di Milo, alle pendici dell’Etna (e sulle vette del Cosmo). Attraverso le loro testimonianze, si delinea il paesaggio che dice la villa disabitata e già venduta. Quel che resta del giorno è la luce di scarni dettagli e lapilli del genio. Ma lui dov’è?
E a seguire, quattro donne, quattro modi per perdersi, quattro forme dell’eros, quattro strade verso la non soluzione di un non mistero, dove la discoteca è essa stessa il labirinto.

Aneddoti, aforismi, citazioni, testi, note. Pulviscoli ovunque. Una trama ambiziosa e originale in salsa giallo-esistenziale eco di Eco, ma in una prosa giovane e ritmata, nella scissione a tratti emergente dei due stili dei due autori, tra ironia e culto, meditazione profonda e amabilis cazzeggio. Da leggere assolutamente, insomma.

Sin qui il libro presentato in un’ora perfetta di piacevolezze.
Ma cosa rende perfetta la presentazione di un libro? La partecipazione? Non credo. Oggi, se vuoi che si adunino le folle, devi essere un personaggio televisivo che introduce il suo ultimo scontatissimo libro. (Si può dire? Ormai l’ho detto.)
L’abilità nel vendersi al pubblico in ascolto, tra promozione e commenti immortali? No, in questo caso non ho visto astuzie del marketing.
A dire perfetta una presentazione è per me invece il carisma psicologico. Una virtù medianica. L’attitudine nel rievocare i fantasmi. Il talento nell’invitare gli assenti. E, vi confesso, infatti, in più di una circostanza, tra le parole dei relatori dinanzi a me, io mi sarei voltato. Perché ho avvertito dietro di me la presenza di un ironico maestro di Milo, che sornione e chiosante: “Ma guarda questi qua che bella cosa preziosa mi hanno dedicato! Arancioni terribili!”
Era lì. Tra gli spifferi e le mascherine. Invitato.
E questo è l’apprezzamento più sincero che io possa fare agli autori e ai relatori e alle danzatrici di questo angolo di improbabili trascendenze. Allestito a ridosso di un ordinario Natale, di un’ordinaria città, di un’ordinaria perfezione.

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