Gli occhi dei bimbi ucraini e la splendida voce dell’affido. A Ragusa

“Houston! … qui Ragusa.”
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Ospedali pediatrici sotto le bombe. Neonati e bambini nella polvere di sangue. Labirinti di macerie e lacrime in un paesaggio apocalittico. Tra un dondolo e uno scivolo. E i pullman della salvezza. Tanti bambini senza parole, in braccio a donne giovanissime. Tratti in salvo in una indicibile corsa contro il tempo. E contro il terrore.
Ancora una volta, hanno suscitato emozioni profonde e a tratti indescrivibili in ciascuno di noi le immagini struggenti di bambini piccolissimi, in uno scenario di guerra e disperazione, e consegnati infine, nel più paradossale distacco, alla possibilità di una salvezza.

Mi piace riproporre questa mia riflessione personale già condivisa mesi addietro. Nella tragedia e nel tentativo disperante di una risposta al dramma, giudico di una bellezza infinita l’idea che anche l’Italia, la Sicilia, Ragusa possano essere quelle mani che si prendono cura, per il tempo che serve (e solo per quello), di migliaia di creature vittime del disastro della politica e figlie delle contraddizioni della storia scritta dagli adulti. Le mani, gli sguardi, i sorrisi in grado di garantire la loro salvezza psicologica, mentre essi abitano il cuore del processo evolutivo nel quale ogni cosa si crea e rimane per l’intera vita. Nell’auspicio che il mondo degli adulti possa rimediare almeno in parte allo scempio dell’ingiustizia più crudele. Quella perpetrata nei confronti dei più indifesi.
La giustizia del mondo ha bisogno urgente di famiglie, coppie, conviventi (con o senza figli), single, persone insomma disponibili a prendere in affido i bambini meno fortunati, (siano essi provenienti dalle regioni più lontane del pianeta che dal quartiere sotto casa).
Ribadiamo che, nelle crescenti emergenze, occorrono sempre più persone disposte a mettersi in gioco e vivere l’esperienza dell’affido.

Quelle immagini hanno risvegliato la sensibilità verso il tema. In linea generale, l’affido familiare è l’istituto che consente a una famiglia, a una coppia o a un single di accogliere, per un periodo di tempo limitato, un minore italiano o straniero la cui famiglia stia vivendo un periodo di difficoltà o di crisi in grado di compromettere l’accudimento del bambino. Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un’altra famiglia.
L’incapacità o difficoltà dei genitori deve avere però il carattere della transitorietà (la temporaneità distingue nettamente l’affidamento dall’adozione, ad esempio).
L’adozione e l’affido sono due cose appunto decisamente distinte e seguono due canali incompatibili tra loro. L’affido non ammette aspirazioni adozionali. È un dono gratuito.
Alla luce di molte esperienze reali e concrete, l’affido è la pagina meravigliosa di un libro di storie profondamente umane ed essenziali, pagine di una crescita autentica nella reciprocità. Noi e i nostri figli dovremo confrontarci con l’incarnazione dell’orrore della guerra, solo in apparenza lontana. E con la possibilità di un riscatto autentico, esperienziale. L’accoglienza diventa un orizzonte smisurato e potente di emozioni. Soprattutto in un paesaggio brusco e lacerato come quello della fuga dalla guerra.

Ovviamente, la famiglia affidataria non ha un compito semplice. Lo scenario di guerra lascia delle ferite profonde. La perdita, l’abbandono, la paura, lo sradicamento …
La Sicilia e la provincia di Ragusa in particolare hanno storicamente dimostrato una reale sensibilità. Qualsiasi appello dunque non cadrà nel vuoto. Le persone interessate ad avere in affido un bambino possono rivolgersi alle associazioni riconosciute e dare la propria disponibilità.
È questo il primo passo verso un’avventura scritta dal più nobile dei romanzieri. In un racconto, breve o lungo che sia, nel quale ciascuno di noi può essere la voce narrante. Una storia di empatia reale. Di solidarietà verticale. Una storia di pace.

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