E TU… A COSA NON SEI INTOLLERANTE?

 

Intollerante al glutine, al latte, alle uova, alla frutta secca… all’ossigeno. Da un giorno all’altro, siamo tutti intolleranti a qualcosa – o allergici, a seconda della giornata.

Questo accade, però, perché c’è tanta disinformazione in merito, e la moda di fare il “test delle intolleranze” sta tentando tutti, soprattutto chi cerca una spiegazione a problemi di gonfiore, cattiva digestione, reflusso gastroesofageo etc., tutti disturbi che, nove volte su dieci, sono dovuti a abitudini alimentari sbagliate e/o alla suggestione, piuttosto che alla reale presenza di un’allergia o intolleranza alimentare, o altra causa organica.

Ma andiamo con ordine: qual è la differenza tra Allergia e Intolleranza alimentare?

La prima è una reazione avversa a molecole che il sistema immunitario riconosce come estranee (i cosiddetti allergeni o antigeni, nella quasi totalità dei casi rappresentati dalle proteine dei cibi). Le più comuni allergie sono dovute a proteine del latte vaccino (tipica nei bambini), soia, arachidi, anacardi, nocciole, noci, gamberi, vongole, uova, grano, ma anche a alcuni coloranti o altri additivi che si comportano da allergeni chimici e scatenano la reazione immunitaria.

Le intolleranze alimentari, invece, NON coinvolgono il sistema immunitario, ma sono mediate da meccanismi diversi: carenze di enzimi o di recettori, che modificano l’assorbimento dei nutrienti dando origine a una sintomatologia specifica.

La celiachia è l’unica “eccezione”, perché, pur essendo mediata dal sistema immunitario, presenta caratteristiche diverse dalle altre allergie; per questo, è definita una “intolleranza permanente al glutine” (in particolare, alla frazione gliadinica del glutine), e si manifesta solo in individui geneticamente predisposti, non appena vengono in contatto con alimenti contenenti glutine (anche in piccolissime quantità).

Nella popolazione italiana generale, la percentuale di soggetti che soffre di allergia alimentare è relativamente bassa, aggirandosi attorno all’1-2%, e raggiunge il 7-8% nei bambini. Un’allergia alimentare non si manifesta all’improvviso: prevede infatti una prima fase, detta “sen- sibilizzazione”, a cui segue la sintomatologia conclamata, con il coinvolgimento di IgE e mastociti, presenti soprattutto dove si hanno le manifestazioni cliniche di allergia: naso, gola, bronchi, polmoni, pelle e tratto gastroenterico. Il decorso dipende da numerosi fattori e il grado di gravità è variabile. Le allergie alimentari sono più frequenti nei bambini con meno di 3 anni, nei quali i sistemi gastrointestinale e immunitario non sono ancora totalmente efficienti. Dopo i tre anni, con la maturazione di questi sistemi, la maggior parte delle allergie pediatriche si risolve (vedi allergia al latte e all’uovo). Esistono, inoltre, alcuni “fattori facilitanti”, che non causano direttamente un’allergia, ma il cui ruolo è tuttora in discussione: ridotti (o nulli) tempi di allattamento al seno, errata modalità di introduzione degli alimenti nello svezzamento, presenza di animali nell’ambiente domestico.

Facendo un passo indietro, c’è da dire che tutti gli alimenti sarebbero “estranei” per il nostro organismo, il quale, però, possiede dei sistemi che ne permettono l’assunzione senza effetti collaterali: si tratta del GALT (Tessuto Linfoide Associato all’Intestino) e della limitata permeabilità della mucosa intestinale, che regola il passaggio di oligopeptidi e amminoacidi derivanti dalla digestione delle proteine. È l’alterazione di uno o di entrambi questi meccanismi di difesa che espone allo sviluppo di allergie alimentari. Poi, il fatto che una persona sia più soggetta di un’altra dipende moltissimo dall’ereditarietà: se, infatti, entrambi i genitori sono allergici, la probabilità di sviluppare manifestazioni allergiche per un figlio è intorno al 30-40%.

Un discorso a parte è quello delle allergie crociate, siano esse tra alimenti e pollini, tipiche della primavera-estate, o tra diversi alimenti (per esempio, latte vaccino e latte di altri mammiferi, a causa della presenza di sequenze amminoacidiche comuni nelle proteine allergeniche dei diversi latti). Altro aspetto da prendere in considerazione, è il fatto che i sintomi delle allergie alimentari non si concentrano solo a livello gastrontestinale, ma possono interessare anche l’apparato respiratorio e la cute, o perfino scatenare manifestazioni generalizzate gravi, quali lo shock anafilattico.

Quanto detto finora ci fa intuire come la diagnosi di allergia alimentare non sia mai semplice, e dovrebbe sempre comportare sia un’attenta analisi della storia clinica del paziente e dei suoi familiari, sia la conduzione di test, non solo cutanei, ma (soprattutto!) di laboratorio. Qualunque altro metodo diagnostico, tanto più se promette risultati in tempi rapidi e non è condotto e interpretato da uno specialista, non è affidabile.

 

Per quanto riguarda il capitolo intolleranze, bisogna ricercarne la causa nella carenza di enzimi o recettori, ma bisogna anche distinguerle in base all’origine: farmacologica o metabolica.

Nel primo caso, soggetti predisposti sviluppano effetti collaterali quali insonnia, tachicardia, emicrania o reflusso gastroesofageo a seguito dell’assunzione di xantine (caffeina, teofillina e teobromina contenute in caffè, the e cioccolato), o amine vasoattive, tra cui istamina (pesce in scatola, salsiccia, cauti), serotonina (banane), feniletilamina (cioccolato) e tiramina (contenuta in alcuni formaggi stagionati tra cui camembert, taleggio, gorgonzola, brie e groviera, ma anche in salumi, aringhe, tofu e derivati della soia, crauti, birra, Chianti e Vermouth).

Vi è anche l’ipotizzata intolleranza al glutammato monosodico, nota come “sindrome da ristorante cinese”; studi clinici hanno dimostrato che si tratta di sintomi gastroenterici correlati al consumo occasionale di preparazioni contenenti questo additivo in abbondanza (come accade in molti ristoranti cinesi), ma altri ricercatori ne sostengono la veridicità anche a piccole dosi.

 

Di origine metabolica, e da non confondere con l’allergia al latte (che nello specifico si chiama allergie alle proteine del latte vaccino – APLV), è invece la più nota intolleranza al lattosio, lo zucchero del latte, molto frequente in età adulta (70% della popolazione).

La causa è la carenza, più o meno marcata, della lattasi (o beta-galattosidasi), l’enzima che scinde il lattosio in glucosio e galattosio, permettendone l’assorbimento. Nella maggior parte dei casi la sintomatologia è lieve, ma si osserva ampia variabilità da persona a persona. I sintomi si risolvono riducendo il consumo di latte e alcuni suoi derivati, ma è decisamente inutile escludere del tutto questi alimenti dalla dieta. Piuttosto, si può optare per il latte delattosato (in cui il lattosio è stato già scisso nei due zuccheri che lo compongono, e quindi è assorbito senza problemi), lo yogurt (in cui la fermentazione scinde il 98% del lattosio), e i formaggi a pasta dura, parmigiano reggiano in testa ma anche altri prodotti semi- e stagionati, che contengono solo tracce di lattosio a seguito della lunga stagionatura.

 

L’intolleranza al lattosio è l’esempio perfetto per spiegare come si fa una diagnosi corretta: poiché i sintomi sono gastrointestinali, e quindi comuni alle allergie alimentari, è necessario conoscere a fondo la storia clinica di chi ne soffre, e condurre esami che chiariscano se si tratta di allergia o di intolleranza. Si può effettuare dapprima il test cutaneo (Prick) o, meglio ancora, il Breath test, associato alla ricerca delle IgE nel sangue (RAST o ELISA test), e poi, se necessario, si può procedere con altri test più accurati (CAP-RAST, Immunoblotting).

 

Altra “intolleranza” di cui si sente molto parlare è quella al lievito: si tratta, in realtà, di una disbiosi della microflora intestinale (in particolare, aumenta la componente fungina dei generi Candida, Aspergillus o Penicillium), che determina la sintomatologia tipica (gonfiore, flatulenza, crampi addominali), ma è assolutamente curabile ripristando l’equilibrio del microbiota, attraverso l’alimentazione e l’eventuale uso di un supplemento probiotico e prebiotico.

Ci sono poi intolleranze alimentari più critiche, che hanno trasmissione genetica e origine metabolica: è il caso delle aminoacidopatie (fenilchetonuria, tirosinemia, leucocinosi) e della galattosemia. Queste devono essere riconosciute nei primi giorni o mesi di vita, per consentirne un decorso benigno, anche se condizionato da una dieta controllata e spesso restrittiva per tutta la vita.

 

 

di Wanda Rizza

 

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