COLOSSEUM

La stagione del rock britannico a cavallo fra gli anni ’60 e i primi ’70 fu altrettanto e forse più ricca di quella coeva dall’altra parte dell’Oceano.  La scena fu a lungo occupata da tutti i gruppi nati dalla cosiddetta Università del Blues di John Mayall: i Fleetwood Mac di Peter Green e  i Cream di Eric Clapton; ma poi anche quelli ispirati al blues bianco di Alexis Corner e al jazz-blues di Graham Bond: i Led Zeppelin di Jim Page (che veniva dagli Yardbirds), i Ten Years After di Alvin Lee. Poi venne il tempo per il progressive, con gli antesignani Moody Blues e Procol Harum e i successivi Gentle Giant e King Crimson di Peter Fripp (questi ultimi capaci di una proposta musicale raffinata e composita al confine col jazz e la tradizione euro-colta). Poi ancora gli Emerson Lake and Palmer, trio di virtuosi galleggianti fra rock e Back; gli Yes, baroccheggianti e trascinanti.

Questo per fare solo alcuni nomi.

I Colosseum ebbero un posto a parte. Nati dalle ceneri di una delle tante formazioni di Mayall, guidati sin dall’inizio dal vulcanico drummer Jon Hiseman, si proposero con due primi album stracolmi di ispirazione classica (specie il secondo Valentyne Suite) e intinti in una pozione jazzistica,  per approdare con Daughter of Time ad un repertorio melodico più scopertamente rock (fra tutte le cover la splendida Theme for an Imaginery Western di Jack Bruce), affidato alla nuove possente voce di Chris Farlowe.

La virata rock-blues fu favorita non solo da Farlowe, che sta al blues bianco come Chopin sta al romanticismo, ma anche (e soprattutto) dal chitarrista Dave Clempson, mobilissimo e stracolmo di blues feeling, dotato di una tecnica superlativa che in alcuni passaggi richiamava perfino l’approccio lisergico di Hendrix.

A costo di sorprendere i nostri lettori più familiari con i nostri gusti, abbiamo sempre preferito di gran lunga i “secondi” Colosseum  ai primi, quelli cioè con una più marcata accentazione rock rispetto a quelli più raffinati degli esordi. Tanto da ritenere il loro Live, doppio album del ’71, una delle registrazioni dal vivo più trascinanti della storia del rock: provare per credere ascoltando la stupefacente Lost Angeles, introdotta a tempo sghembo dall’Hammond di Dave Greenslade e sostenuta dal drumming di Hiseman con un’energia esplosiva, fino al lungo ubriacante solo di Clempson.

La stessa energia che ben 23 anni dopo si respira nel dvd dedicato a una Reunion (peraltro seguita da una ripresa dell’attività discografica) filmata a Colonia: se non avete mai visto né sentito Chris Farlowe può essere l’occasione giusta. Un corpo sgraziato, e tuttavia capace di una presenza scenica assoluta, da cui proviene una delle voci più emozionanti che l’Inghilterra abbia dato.

I Colosseum e altri del periodo sono raccontati nel gustoso e riccamente illustrato Progressive & Undreground, di Cesare Rizzi, con schede e immagini dei tanti gruppi che resero quel momento indimenticabile.

 

 

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