L’ASP di Ragusa rende noto che, a conclusione della selezione pubblica per titoli e colloquio, è stato conferito al dottore Luciano Carnazza l’incarico di Direttore della U.O.C. Distretto 1 di Ragusa, con durata quinquennale. Il Distretto rappresenta uno snodo essenziale per l’organizzazione dell’assistenza territoriale, in particolare nel quadro delineato dal Decreto Ministeriale n.77/2022, che definisce […]
Case senza addobbi natalizi e famiglie lontane: il ritratto del Natale dei giovani emigrati siciliani
28 Nov 2025 09:33
C’è una Sicilia che continua a parlare anche da migliaia di chilometri di distanza. Una Sicilia che scrive, ricorda, soffre e spera. È quella dei giovani che negli ultimi anni hanno lasciato l’isola — e spesso anche l’Italia — per cogliere quelle opportunità lavorative che la loro terra non è riuscita a offrire. Tra loro c’è una nostra lettrice, che da tempo vive lontano dalla provincia d’origine e che ha scelto di affidare a queste pagine una riflessione intensa, dal titolo emblematico: “A casa dei nuovi emigranti italiani non c’è l’Albero di Natale”.
La sua è una lettera che non accusa ma racconta, che non cerca compassione ma consapevolezza. È un ritratto corale e potentissimo della condizione di migliaia di giovani siciliani sparsi per l’Italia e per il mondo, costretti a costruire vite nuove mentre il cuore resta radicato nell’isola.
Un testo che, soprattutto in questo periodo dell’anno, diventa specchio di emozioni comuni: nostalgia, rabbia, resilienza, dignità.
Di seguito pubblichiamo integralmente la lettera, rispettando ogni parola e ogni sfumatura.
La lettera: “A casa dei nuovi emigranti italiani non c’è l’Albero di Natale”
«Sono una vostra lettrice, da anni vivo e lavoro lontano dalla nostra provincia. Leggervi quotidianamente è uno dei modi per mantenere vivo il legame reciso a forza per poter godere di opportunità lavorative dignitose.
Desidererei che la vostra testata potesse dare voce ai giovani siciliani che, come la sottoscritta, vivono nel nord dell’Italia o all’estero, attraverso la pubblicazione del breve testo che segue. Si tratta di una riflessione corale, forse dai toni rabbiosi e pessimistici, ma certamente autentica e profondamente sentita che ho voluto intitolare “A casa dei nuovi emigranti italiani non c’è l’Albero di Natale”.
Tradizionalmente era l’8 dicembre, adesso, in un’epoca che gioca d’anticipo e in frenetica corsa, il clima natalizio irrompe già a metà novembre. La festività più attesa dell’anno, indipendentemente dal credo religioso, arriva portando con sé luci, calore, riposo, convivialità e ricordi. Ma nelle case dei nuovi emigranti italiani non c’è l’Albero di Natale. Siamo giovani, con case lontane da Casa, forgiati dal sacrificio, abituati alla solitudine, con fisico ed energie al Nord e con mente e cuore al Sud. Ci puoi incontrare sulla banchina di una stazione ferroviaria con un fischietto metallico al collo, tra i corridoi di una scuola, sui sedili anteriori di una Gazzella, dentro buche d’orchestra di sontuosi teatri, tra le corsie di un ospedale, tra le file di convention di settore. Diamo il massimo, tutti noi stessi, e poi alla sera torniamo, spesso soli, nelle nostre abitazioni in affitto, silenziose, accomodate e sguarnite, dove in questo periodo non ci sono lucine e addobbi. I nostri bisnonni, semianalfabeti, sono saliti sui transatlantici alla fine del Primo Conflitto Mondiale; i nostri nonni, con la licenza elementare, hanno lavorato nelle acciaierie tedesche; i nostri genitori, con la licenza media, figli del boom economico, ci hanno permesso di frequentare gli ambienti accademici, e noi abbiamo colto quest’opportunità! Ci siamo formati, specializzati, masterizzati, con attitudine e passione, e poi, iper titolati, siamo fuggiti, in massa, anche noi alla ricerca di un posto nel mondo che riconoscesse il nostro valore, che ci desse la possibilità di esprimerci e di avere in cambio quello che meritavamo. Alcuni, se fortunati, tra qualche settimana avranno la possibilità di tornare a casa per qualche giorno, investendo fino a metà del proprio stipendio; altri dovranno accontentarsi di una videochiamata con i propri affetti tra un turno e l’altro. Non è una novità, non è un tema che su queste pagine non sia mai stato trattato, ma è in questi momenti dell’anno che la tristezza, la rabbia, la ricerca di responsabili e responsabilità, animano in maniera convulsa i nostri pensieri. Ci rimane da pronunciare, solo col labiale, un fioco “Pazienza, magari il prossimo…” mentre dentro ruggisce la certezza che un altro anno è passato e nulla è davvero cambiato.»
© Riproduzione riservata