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ATTORNO AL MONUMENTO MANCATO A PENNAVARIA
05 Mar 2017 04:46
Nel ragionare attorno alla vicenda l’attenzione, più che sulla figura dell’onorevole Filippo Pennavaria, che c’è stato e c’è nella storia di Ragusa, va posta sull’azione del sindaco Arezzo e compagni che hanno pensato un monumento senza tenere conto di tutti gli aspetti della vicenda pervenendo così a un risultato che non può essere accettato dalla comunità ragusana e perciò stesso mancato. Vediamone i punti fondamentali.
Delibere, contratti e bronzo. La Giunta Comunale con delibera n. 881 del 7.8.2001 decide di realizzare, in Piazza Libertà, un monumento al Sen. Filippo Pennavaria “quale riconoscimento per avere, con il Suo interessamento e l’impegno di Parlamentare e di Ragusano, determinato l’istituzione della Provincia di Ragusa e l’elevazione di questa Città a Capoluogo della Provincia”. Nessun riferimento alla riunificazione in un unico comune delle due Raguse come se questo fosse stato evento di nessuna importanza e non invece propedeutico all’elevazione di Ragusa a capoluogo di provincia. Affida l’incarico allo scultore Prof. Giovanni Di Natale, che s’impegna a eseguire l’opera gratuitamente, secondo il progetto da questi presentato per una statua in bronzo alta mt. 3,50 su un basamento alto mt. 4 sulle cui quattro facce applicare gli stemmi, in bronzo, dei dodici comuni della provincia. Costo complessivo presunto dell’opera lire 240 milioni IVA compresa.
Il Commissario alla Provincia, Dott. Manno, con delibera n. 526 del 3.8.2001 decide, “nell’ambito delle iniziative per la ricorrenza del 75° anniversario dell’elevazione di Ragusa a capoluogo di Provincia”, di aderire all’iniziativa del Comune impegnandosi per Lire 120 milioni.
La Giunta Comunale con delibera n. 1110 del 16.10.2001 affida alla Fonderia Bersanti di Pietrasanta l’incarico della fusione della statua per l’importo di lire 118 milioni e dei dodici stemmi dei Comuni per lire 10 milioni più IVA.
La Giunta Provinciale con delibera n. 784 dell’8.1.2002 revoca la delibera n. 526 ritirando “la partecipazione economica perché “diversi Sindaci dei Comuni ragusani hanno manifestato la loro contrarietà all’iniziativa, rifiutando formalmente di fare incidere il loro stemma municipale sul basamento della statua”, perché ci sono “diversi pro, ma anche tanti contro” e perché “l’argomento è stato motivo di disaggregazione”.
In merito alla sequenza delle delibere riteniamo quanto appresso.
a) La Provincia poteva dissociarsi dall’iniziativa ma non dalla partecipazione economica! Se in due si decide di andare insieme a Catania e si noleggia un mezzo per il viaggio, arrivati a Lentini uno dei due può legittimamente decidere di scendere purché faccia fronte alle spese sostenute. Ci pare cosa ovvia!
b) La Giunta comunale appreso che la Provincia si dissociava dall’impresa doveva riaffrontare la questione e deliberare in conseguenza. O, come giusto, pretendere dalla Provincia la quota parte della spese per l’impegno disdetto o integrare la somma stanziata. Invece il Sindaco Arezzo ha proseguito come se nulla fosse limitandosi a sostituire gli stemmi dei dodici comuni con quattro stemmi della città di Ragusa da mettere uno su ogni lato del basamento.
I comportamenti dei due organismi ci paiono poco responsabili e al di sotto anche della più elementare correttezza tra persone.
L’opera d’arte, l’artista e i fruitori. Un’opera d’arte non è un “pezzo di bronzo” ma il mezzo attraverso cui l’artista trasmette ai fruitori messaggi, valori, sentimenti, prospettive future. Si va dai pezzi di bronzo somiglianti di cui sono pieni i cimiteri che trasmettono appunto “la somiglianza” tanto gradita ai congiunti (“sembra vivo!”) e lasciano assolutamente indifferenti gli altri, a opere come la Morte della Vergine di Caravaggio che trasmette una complessità di messaggi che vanno oltre l’epoca in cui fu realizzata tant’è che è tutt’ora oggetto di grande ammirazione.
Il rapporto tra artista e fruitore è normalmente di due tipi. L’artista realizza la sua opera, la espone e il fruitore riconosce i messaggi trasmessi o ne riconosce altri (nell’arte, a differenza della scienza dove viene usato il linguaggio della matematica, la comunicazione non è univoca) vi aderisce e compra l’opera che, poi, a casa sua colloca dove ritiene più opportuno. All’artista non interessa ciò che il fruitore ha letto nella sua opera né dove questi la colloca, la sua soddisfazione d’artista consiste nell’essere riuscito a realizzare l’opera. Con l’incasso del prezzo dell’opera realizza anche la sua soddisfazione di uomo che, come tutti gli altri, ha da vivere. O, inversamente, il fruitore ordina all’artista una certa opera indicando quali sono i messaggi, i valori, i sentimenti, le prospettive future, le motivazioni dell’opera. L’artista, nella sua libertà d’espressione e di linguaggio, realizza l’opera che però può non riscontrare il consenso del committente come avvenne nel caso della Morte della Vergine di Caravaggio che fu rifiutata dai monaci di Santa Maria della Scala in Trastevere e prontamente comprata dal Duca di Mantova.
Se le Giunte, Comunale e Provinciale, avessero saputo queste regole elementari dell’arte avrebbero agito in modo diverso. Considerato che i fruitori non erano loro personalmente ma i cittadini della provincia, avrebbero, sia per dovere politico sia per i principi culturali, coinvolto la comunità intera nell’iniziativa, avrebbero raccolto i sentimenti e i valori attorno al Pennavaria e alla creazione della provincia di Ragusa, che, come a tutti noto, sono diversi e perfino di segno opposto; avrebbero precisato meglio il senso, il significato e il perché dell’opera, per esempio quale momento ulteriore per rafforzare la collaborazione tra i vari Comuni, e avrebbero “consegnato il tutto” all’artista, possibilmente non ragusano per essere meno influenzabile da determinati e particolari punti di vista. L’artista avrebbe amalgamato nella sua anima valori, sentimenti, storia, prospettive, motivazioni, li avrebbe composti secondo il suo linguaggio e la sua sensibilità e ci avrebbe dato un’opera in cui tutti i ragusani ci saremmo riconosciuti. In tal senso, seppur in modo approssimativo, si era mosso il Presidente della Provincia Giovanni Mauro che, in modo informale, aveva dato incarico al Di Natale, il quale aveva pensato e disegnato un monumento con otto personalità di Ragusa: Giambattista Odierna, Mario Leggio, Suor Maria Schininà, Filippo Pennavaria, Giorgio La Pira, Salvatore Quasimodo, Mons. Canzonieri, Gesualdo Bufalino. Poi sono successe le note vicende che hanno portato alle dimissioni di Mauro e non se ne fece niente.
Arezzo e Manno non hanno agito così! Loro avevano un loro sentimento che può sintetizzarsi nella frase: “Pennavaria uomo insigne e padre di Ragusa” e, approfittando della momentanea detenzione del potere hanno voluto estrinsecarlo. Possiamo tutti i ragusani ritrovarci attorno a questo sentimento? Sicuramente no! Quale monumento allora meriterebbe il barone Mario Leggio che fu il leader che vide giusto i segni della modernità, che intuì le prospettive future e pensò alla ricostruzione, dopo il terremoto, in sito diverso da quello medioevale e, in una situazione non facile, trovò il coraggio di guidare i “Sangiovannari” nella costruzione di una città moderna. Se un padre va dato a Ragusa, questo è Mario Leggio! Quale monumento allora per Suor Maria Schininà che ha realizzato un’opera i cui meriti vanno ben oltre Ragusa o per Gian Battista Cartia primo direttore generale della Banca Agricola Popolare (nata dalla fusione della Popolare dei Cartia e della Agricola dei Pennavaria e di due altre banche minori), banchiere cauto che, in sintonia con l’animo ragusano, seppe guidare l’Istituto nel percorso accidentato del tramonto del fascismo e della guerra per portarlo, poi nel dopoguerra, a quella grossa realtà che è oggi o per Mons. Canzonieri che si è battuto ed ha ottenuto la diocesi di Ragusa. Di personaggi insigni a Ragusa non c’è stato solo Pennavaria! A pensarci bene non sussistono i motivi per cui tutti i Ragusani dobbiamo dedicare al Pennavaria ed esclusivamente a lui un monumento. Se il Sindaco Arezzo avesse agito più da Ragusano e più da sindaco dei Ragusani avrebbe pensato a ben altre iniziative.
Perché allora proprio Pennavaria e solo Pennavaria!? Probabilmente il monumento aveva l’intento di legare Ragusa, a prescindere dalla figura del Pennavaria e in un certo senso strumentalizzandola, in modo tangibile e permanente al fascismo. Come dire: “Grazie al fascismo Ragusa è quel che è!” Non è così e in tanti riteniamo che non è così. Probabilmente lo stesso Pennavaria considerò chiusa l’esperienza fascista infatti nel 1958 respinse gli inviti degli esponenti del Movimento Sociale Italiano per candidarsi nel Partito Popolare Monarchico ed essere eletto senatore con 15.011 voti per passare, in corso di legislatura col Partito Liberale Italiano nella cui liste si ricandidò nel 1963 senza essere rieletto. Per dire come poi i Ragusani stessi cominciarono a considerare chiusa anche l’esperienza Pennavaria. Comunque, in merito al rifiuto del fascismo, senza bisogno di citare la Costituzione, crediamo che non ci sia bisogno di spendere parole. Questo non significa rinnegare la storia o negare aspetti positivi che pur ci sono stati o vituperare quanti, persone per bene, in esso hanno creduto.
“Il fascismo non è stato certo il nazismo o lo stalinismo, ma anche la nostra storia si basa sul consapevole e sereno rifiuto di esso. Su questa premessa condivisa è possibile e doveroso riconoscere i suoi aspetti positivi, comprendere e rispettare i motivi che hanno indotto molte persone d’animo generoso a credere in esso e dunque integrarlo – ma solo sulla base di questo giudizio – nella nostra memoria storica.” Claudio Magris – RICONCILIAZIONE E INTRANSIGENZA in La Repubblica 4 agosto 2003.
Ma questi sono discorsi e considerazioni che non hanno sfiorato la mente del Sindaco Arezzo: lui voleva il suo monumento a Pennavaria, esclusivamente a Pennavaria, voleva il monumento per dire: “Grazie al fascismo Ragusa è quel che è!” e, approfittando della detenzione momentanea del potere ha pensato di riuscire nel suo intento pur sapendo che sull’iniziativa in tanti a Ragusa non erano d’accordo. Ha fatto come chi, pur sapendo che la moglie era contraria, approfittando di una sua momentanea assenza, acquistò un biliardo e lo piazzò nel bel centro del salotto. Lasciamo all’immaginazione di ciascuno la reazione della moglie al rientro in casa!
Conclusione. Il monumento a “Pennavaria, uomo insigne e padre di Ragusa” o “Grazie al fascismo Ragusa è quel che è!” non esiste perché è un sentimento che non accomuna e non unisce i Ragusani, così come non può esistere un monumento a “Mario Leggio, uomo insigne e padre di Ragusa” in polemica e in contrapposizione ai concittadini di Ibla. Come dire “Chidi ri Supra fuommu e siemu sperti e chidi ri Sutta siti minciuna!” A prescindere dal Pennavaria, il monumento va rifiutato perché Arezzo, nel volerlo, non ha agito da Sindaco dei ragusani ma da uomo di parte.
Si sostiene che chiunque, associazione o comitato o gruppo di cittadini, è libero di finanziarsi un monumento a persona o idolo e a collocarlo, dietro autorizzazione, in un luogo della città. Un gruppo di ragusani convinti di avere mali incurabili e di essere stati miracolati per intercessione di Padre Pio hanno finanziato un monumento a lui dedicato e l’hanno collocato davanti all’ospedale civile. Il messaggio è chiaro: “Voi che entrate in questo ospedale, pensate bene di rivolgervi a Padre Pio”. Loro erano convinti di questo messaggio e l’hanno voluto esternare anche a chi non lo condivide e preferisce affidarsi alla scienza e alla professionalità dei medici. Il problema di chi è fanatico di una idea consiste nel volerla imporre anche a chi la pensa diversamente. Il fanatismo di solito è pernicioso ma non sempre. Nel medioevo le famiglie nobili, per fanatismo e per ostentazione di potere, hanno innalzato inutili torri chiari simboli fallici che tuttavia a distanza di secoli fanno la bellezza di alcune città e attirano turisti. Vogliamo, a Ragusa, dare libero sfogo ai fanatismi e innalzare una selva di monumenti e far diventare Ragusa la città delle cento statue?!
Noi preferiamo abbandonare i fanatismi e pensare a unirci per affrontare meglio il futuro.
Arezzo però non ha agito da privato e ha pagato, con la mancata rielezione, questa e le altre sue insufficienze come Sindaco dei Ragusani.
La Provincia, dissociatasi dall’iniziativa, deve però corrispondere al Comune di Ragusa la parte delle spese già affrontate in conseguenza della comune decisione.
Lo scultore Giovanni Di Natale può ritenersi soddisfatto per aver avuto modo di realizzare un’opera di grande impegno e per essere riuscito a comunicare pienamente “Pennavaria uomo insigne e padre di Ragusa”. Un turista ignaro delle vicende ragusane alla vista della statua, se dovesse essere eretta, direbbe: “Questo signore è il padre di Ragusa”. Ma proprio perché la sua opera è ben riuscita, non può essere accettata. Se fosse stata un pezzo di bronzo somigliante sarebbe stata una delle tante cose brutte e, paradossalmente, più accettabile. Certo, per l’impegno fisico, artistico e creativo profuso (gratuitamente) meritava di vederla in Piazza Libertà, ma anche lui, che pure aveva fatto presente al sindaco Arezzo la probabile non riuscita dell’operazione, si è lasciato imbrigliare dal sentimento “Pennavaria padre di Ragusa” in conseguenza anche della stretta amicizia del padre e sua personale col Pennavaria. Ecco l’opportunità di incaricare un artista esterno!
I Ragusani ci abbiamo rimesso la bella cifra di 120 milioni di lire più gli spiccioli. Ma qualcosa dobbiamo pur pagare per avere eletto Arezzo sindaco.
L’opera va rifiutata, così come i monaci di Santa Maria della Scala rifiutarono la Morte della Vergine di Caravaggio, e, come per quella ci fu un compratore, speriamo che ci sia anche per questa così almeno si recuperano le spese.
Ragusa, 10 marzo 2017
Ciccio Schembari
Articolo pubblicato sul n. 139/2017 “Homo faber” della rivista on line www.operaincerta.it
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