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Alla ricerca dei Nero d’Avola
13 Dic 2010 17:47
Il 7 dicembre si è tenuto, nelle sale dell’hotel Rome Cavalieri, un seminario organizzato dall’A.I.S. (Associazione Italiana Sommelier) sul Nero d’Avola e i suoi territori. A tenere il seminario è stata Daniela Scrobogna, sommelier molto attenta alla rinascita enologica della Sicilia, soprattutto per quanto riguarda i vini dell’Etna. Assieme a lei, come ospiti, c’erano Baldo Palermo e Ivo Basile responsabili del settore marketing di due note cantine siciliane.
Il seminario ha focalizzato la sua attenzione, dopo una introduzione sulla storia della viticoltura isolana, sulla grande varietà di terroir che offre la Sicilia. Da Trapani, passando attraverso il Belicce, Enna, Riesi, i monti Iblei, Pachino e arrivando all’Etna, sono tantissime le varietà di clima, di altitudini e di terreno che caratterizzano l’isola. Questa molteplicità è un fattore importantissimo per dare diverse interpretazioni di questo vitigno. Superare lo stereotipo del nero d’Avola visto come vino economico, alcolico, corposo e semplicemente fruttato, è il primo passo per rilanciare un vitigno che ha già dimostrato di poter dare grandi risultati, ma soprattutto di possedere diversi caratteri in base alla zona di provenienza.
La grande capacità del nero d’Avola di accumulare zuccheri, soprattutto nelle zone altimetriche più basse, lo hanno relegato in passato al ruolo di mosto da taglio per rinforzare i vini del nord. Basta leggere le pagine di Vino al vino di Mario Soldati quando giunge a Portopalo per avere un quadro di quello che era la produzione enologica siciliana: la diversità con quanto accade per il petrolio greggio è solo nel minore diametro dei tubi. Ancora oggi permane l’idea del nero d’Avola come un vino alcolico e sono in molti a credere che l’alta gradazione alcolica di un vino sia una garanzia di qualità.
A questa problematica va aggiunta un’altra legata al marketing: l’imbottigliamento di nero d’Avola come IGT Sicilia da una parte ha facilitato la vendita e la diffusione dei vini siciliani all’estero, poiché quasi tutti sanno dov’è la Sicilia o, comunque, è un nome che suggerisce un determinato luogo; diversamente è imbottigliarlo, per esempio, come DOC Riesi, poiché anche molti italiani avrebbero difficoltà a localizzarne la zona di provenienza. Questa politica di mercato, cha ha fatto conoscere il nero d’Avola al mondo, ha avuto anche un risvolto negativo, impedendone l’approfondimento sull’espressività territoriale di questo vitigno. Un passo fondamentale, per fare di questo vitigno qualcosa di più di un vino piacevole, è quello di portare avanti uno studio sulla zonazione accompagnato da un’analisi clonale.
Gli studi fatti fino a ora sono stati compiuti per lo più dalle stesse cantine e, ovviamente, hanno delle carenze, poiché si limitano all’interesse del proprio vigneto. Tuttora siamo fermi alla semplice constatazione dell’esistenza di più biotipi di nero d’Avola, ma a quando una analisi clonale del nero d’Avola?
L’A.I.S. ha come obbiettivo il raggiungimento di un’immagine di questo vitigno maggiormente radicata al territorio d’appartenenza, per iniziare a parlare dei vari nero d’Avola, che possono essere degli Iblei, piuttosto che del Belice, e non più del nero d’Avola di Sicilia. Per fare ciò, è stata organizzata una degustazione alla cieca di sei vini nero d’Avola provenienti da zone diverse, le cui etichette non sono stati svelate neanche dopo la degustazione, proprio per poter realizzare un’analisi sensoriale libera da ogni pregiudizio.
A chiudere l’evento un banco d’assaggio di nero d’Avola, al quale erano presenti una trentina di aziende. L’invito a partecipare a questa degustazione era stato rivolto a molte più aziende, ma, effettivamente, qualche nome non secondario mancava. Poche purtroppo le cantine del ragusano. Un peccato, perché era una buona occasione, sia per farsi conoscere, sia per dimostrare la grande varietà territoriale del ragusano. (Giuseppe Manenti)
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