UN DIETRO L’ALTRO. IN RIGA!

Si diceva che per un navigatore in balia  delle onde il vento più favorevole è quello in direzione del porto prescelto. In mancanza, nessun vento è quello giusto.

Se non inquadriamo l’economia nazionale o il suo potenziale sviluppo verso un porto che invidiamo o che ci costringono a farlo rischiamo veramente di guardare il dito e non la luna. Abbiamo scelto di vivere in un’Europa individuata solo geograficamente all’interno della quale vive oltre mezzo miliardo di persone fra di loro uniti, tranne un centinaio di milioni, solo da una moneta comune che regola e disciplina, però, processi produttivi interni fra di loro diversi nel senso che alcuni si sono ristrutturati per competere in un’economia transnazionale a fronte di altri ancora che questa nuova visione  hanno sottovalutato.

Per compensare gradualmente nel tempo i risultati negativi di un’economia che riteneva ancora di operare nell’ambito di una sovranità decisionale nazionalistica e quindi non preparata ad affrontare e competere con quella che non più operava in quella casalinga, si è cercato o si è stati anche costretti ad indebitarci al punto tale che ogni anno forse non bastano 80 miliardi per pagare solo gli interessi.

In questo quadro – peraltro alquanto semplicistico – i governi italiani sono costretti ad operare, spogliandosi di un decisionismo casalingo che appartiene almeno per noi ad un’epoca storica, quando, cioè, la sovranità politica era nazionale, quando eravamo considerati la settima potenza industriale del mondo e il nostro pil era uguale a quell’attuale cinese.

E sempre all’interno di questo contesto dovremmo leggere le politiche dei nostri attuali governi.

Alla fine del 2011 poteva sembrare alquanto strano che nascesse un governo Monti sostenuto dai partiti che per un ventennio precedente se le erano date di tutti i colori. Appena 5 anni prima ci scandalizzavamo per il nostro deficit calcolato fra il 104 e il 106 mentre ora si è appostato al 133 e battiam le mani se il nostro pil toccherà in crescita dello 0,6.

Il governo Renzi deve operare e vivere in questa logica di rispetto dei parametri europei e di recupero di risparmi finanziari interni per non sforare parametri e cercare di diminuire il debito pubblico, specie in prossimità dell’inizio del rispetto del tanto declamato e discusso fiscal compact.

Dovrebbero essere eliminate 7000 società municipalizzate e sfoltite le procedure burocratiche ritenute come ostacolo per attrarre investimenti esteri e per snellire le procedure operative delle imprese nazionali. Per ciò fare un primo ostacolo è dato dal tentativo di ripristino dei vari gradi di emanazione legislativa scaturente dalle regioni con la tanto declamata modifica del Titolo V.

Non è affatto impresa semplice. Vi si opporranno gli stessi partiti che proclamano di volerla, stante che i “reggimenti” locali proprio su tale impianto gestiscono e curano i poteri locali o comunque quelli non nazionali. Vi è pure di ostacolo l’effettiva determinazione politica che in passato ha delineato la struttura burocratica ed operativa in un gradino superiore alle esigenze e spesso ai diritti fondamentali e inviolabili dei cittadini che in molti casi avvertano il potere pubblico in un gradino superiore alle loro esigenze e ai loro bisogni.

Il governo Renzi o un altro che potrebbe occuparne il posto non può non tener conto dei parametri che deve rispettare e che poi in definitiva sono stati accettati. Il pugno sul tavolo si può battere quando se non ti ascoltano, si ha la possibilità di tirare dalla tasca con l’altra mano una soluzione profondamente innovativa. In caso contrario contro chi si può battere il pugno? Contro chi ci presta i soldi oltre che poter fare fronte ai bisogni essenziali per la vita quotidiana, ci consente pure di aver nel guardaroba tre camice al posto di due o la calzamaglia anche se superiamo i 100 chili di peso, tanto per fare qualche esempio?.

Il rientro, anche sufficientemente parziale, dal debito pubblico potrebbe verificarsi laddove ogni stato membro risulti collegato con gli altri in ottemperanza dell’obbligata applicazione di norme, specie fiscali,  per tutti valevoli. Le delocalizzazioni si originano principalmente o per esigenze competitive che le imprese devono affrontare in un mercato concorrenziale per il principio della libertà di mercato o per realizzare profitti più vantaggiosi.

Le iniziative assunte dal governo si differenziano dalle precedenti per la programmata velocità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Il raggiungimento degli stessi non è affatto semplice. Vi si opporranno interessi politici consolidatisi nel tempo ed altrettante posizioni partitiche che potrebbero veder diminuita l’influenza nella determinazione elettorale di quanti saranno chiamati al voto sia esso locale che nazionale.

Non ci saranno impedimenti vistosi dei parametri europei che pur si devono rispettare per  la semplice ragione che i risultati da raggiungere potranno rendere meno difficoltose il varo e la formazione delle leggi di stabilità e meno rischiosa la consistenza del debito pubblico.

In buona sostanza, chi investe in titoli non può non vedere di buon occhio il proprio debitore che funzionalizza la propria struttura burocratica per renderla meno complessa e dispendiosa per mantenere se stessa.

L’Europa ci sta sempre a guardare ma non per il solo piacere di farlo. Ci guarda per essere certa che righiamo diritto che, poi, è la sola cosa che le interessa.

 

                                                                                          Politicus    

 

 

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it