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Nello scontro fra Trump e Zelensky ha vinto Papa Francesco
01 Mar 2025 17:57
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola
Sui social è stato un pareggio. Un brutto pareggio. Che non serve a nessuno, né per la salvezza, né per il titolo.
A dirla tutta, il risultato su Facebook e sul web risente molto del grande cerchio di amici, follower e followati, testate on line o personaggi che frequentiamo. Non di rado, i nostri interlocutori sono presenze che abbiamo scelto per affinità: niente ci rende più felici che sentire le nostre opinioni espresse veementemente da un altro. L’egosintonia e il narcisismo rafforzano le nostre convinzioni e i nostri bias cognitivi. E ci fanno stare bene. Come le chiacchiere costosissime di Iginio Massari, se sono gratis e buone come quelle preparate dalla zia.
Ecco perché l’impressione è che i feedback e i giudizi sulla colluttazione virtuale di ieri nel ring ovale non abbiano minimamente scalfito la faziosità immobile dei tifosi di ieri e dell’altro ieri. Chi non ama Trump ha visto la vittoria morale di un eroe (Zelensky). Chi simpatizza per la destra americana ha visto l’umiliazione di un “ex comico arrogante”.
Chi non stima Putin insinua che, se dici da mesi di volere la pace “diversamente giusta” (una tregua che conceda non poco all’invasore), tu sei putiniano dentro.
Sei un putiniano anche se condanni l’invasione ma da anni insisti sulla assoluta priorità di una negoziazione diplomatica (non priva di concessioni all’altro) intesa a prevenire una strage e una disfatta (oggi tragicamente reali) o l’allargamento del conflitto.
E sull’altra curva, se dici che bisogna continuare a combattere “a fianco” dell’Ucraina in difesa dei diritti di un popolo, tu sei stato un servo di Biden come quasi tutta l’Europa.
Eppure, probabilmente la verità non sta né di qua né di là. E mi lascia sgomento il fatto che le polarizzazioni ideologiche non ammettano altre letture, altri distinguo, altre sfumature e obiezioni e rimangano così ostinatamente uguali a se stesse, indifferenti all’evoluzione della realtà. Come se chiedessero alla realtà di adeguarsi alle teorie e non viceversa.
Ecco perché per molti ieri ha avuto ragione Zelensky. E per molti ha avuto ragione Trump. Gli occhiali coi quali vediamo (o non vediamo) il reale sono sempre gli stessi. Le parole con le quali raccontiamo un evento sono scritte col pennarello indelebile prima che l’evento accada. E questa è una vera sciagura, credetemi. Solo la faziosità ha trionfato. E continua a stravincere ovunque.
A livello puramente tecnico, è evidente che Zelensky, se ieri aveva uno scopo diverso, ha indovinato solo fino a un certo punto lo stile della comunicazione. Alcuni passaggi nei temi, nei toni e nelle pose sono risultati inutilmente provocatori. Dico “inefficaci” ovviamente solo se il suo obiettivo era diverso da quello ottenuto. Il mio appunto non è un giudizio di merito o valore.
Trump e il suo vice erano più preparati (e non solo perché in una posizione di forza). Hanno esaltato i loro elettori (tanti, tanti americani). E verosimilmente hanno solo rimandato il raggiungimento dei loro scopi.
Aggiungo solo che finalmente la prospettiva della pace, della “pseudonormalità” e della vita (segnatamente dei bambini ucraini) mi rincuora comunque.
Lo scontro di ieri anche no.
Avrei voluto che in mezzo a loro apparisse d’improvviso Papa Francesco, in pigiama, incurante di ogni dress-code, e che di slancio, con rinnovata energia, in un balzo miracoloso dal letto bianco, li tumpuliasse tutti con la misericordiosa dolcezza di un papà affettuoso nel suo giorno di grazia.
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