INTERVISTA AD UN ALPINISTA…

1.   Ivo, cos’è  per  te la montagna?
Non sono un professionista della montagna, perciò non sono una guida alpina, né un accompagnatore di montagna e non appartengo al Soccorso Alpino.
Sono un autodidatta, un dilettante della montagna, ma non per questo, la affronto da dilettante, anzi! (Per fare un esempio ci sono dilettanti che praticano la fotografia, ma che non hanno nulla da invidiare ai fotografi professionisti).
La montagna per me è un luogo dove mi sento particolarmente vivo, è una scuola di vita dove si impara a prendere decisioni importanti e alle volte definitive. Al contrario della città dove si è spesso condizionati nelle scelte da obblighi, doveri, scadenze, eccetera. Detto questo faccio un distinguo tra andare in montagna  e fare alpinismo in montagna.
Sono due forme ben diverse di accostarsi all’ambiente, infatti ci vuole un approccio differente.
2.     Ad esempio?
Andare in montagna  come una passeggiata o come uscita fuori porta, al rifugio, o un picnic  è uno degli aspetti generici di andare in montagna, mentre  fare alpinismo richiede ben altro, sia a livello fisico che mentale e di attrezzatura.
3.     Quando e perché hai cominciato ad andarci?
Ho cominciato relativamente tardi, verso i trent’anni , anche se va sottolineato che non c’è un’età specifica e raccomandata per cominciare ad andare in montagna, ma va da sé che per fare alpinismo si comincia da giovani. La spensieratezza tipica giovanile porta a non fare tante valutazioni, che a  volte, sarebbero necessarie ma che portano a grandi performance o a grandi tragedie.
Tornando alla domanda, ho iniziato per caso,  cioè l’amico di turno con la stessa passione per la fotografia, che mi ha invitato a fare un’escursione sulla Vigolana (cima di poco superiore ai  2000 m., vicino a Trento), per fare foto dell’aurora.
Questa prima esperienza in ambiente  montano, anche se faticosa e un po’ disorganizzata , è stata la classica scintilla che ha fatto nascere una passione  che a tutt’oggi ho e pratico  ancora con entusiasmo.
4.     Quindi?
Quindi è come conoscere una ragazza, – non necessariamente la classica gnocca- ma una  “persona” con cui ti trovi subito bene, a proprio agio, ti puoi confidare, parlarci, toccarla, a qualsiasi ora, qualsiasi giorno, tenendo sempre presente di non confondere la confidenza  con il rispetto. Mai sottovalutare o dare per scontato anche le situazioni più semplici, all’apparenza banali.
E’ stato come ‘ammalarsi’ o innamorarsi della montagna. L’unica ‘cura’ era tornarci.  Da lì è iniziato l’apprendistato per la montagna nei vari aspetti e forme di frequentazione.  Dopo le prime esperienze escursionistiche, con le prime ferrate, le prime uscite sul ghiacciaio e, di conseguenza,  la scoperta del territorio con i vari gruppi montuosi dolomitici e alpini in generale.
5.     Le scalate, cosa significano per  te?
Le scalate sono state una conseguenza naturale, una evoluzione, un cercare nuove esperienze e sensazioni anche forti che si vivono affrontando in cordata con amici o anche da solo; salite in particolare in alta montagna (l’ambiente che preferisco) su pareti Nord o scivoli di ghiaccio in inverno: le scariche di adrenalina sono assicurate.
6.     Quali sono state le difficoltà più importanti  che hai dovuto affrontare?
La prima difficoltà che si incontra è quella personale: a livello psicologico, dato dal’obbiettivo che  ci si pone e se la salita programmata è fatta in compagnia o in solitaria;  per chiarire: se si è in cordata, parte del carico delle difficoltà psicologiche e tecniche, viene suddiviso, mentre in solitaria devo gestire tutto a livello personale qualsiasi scelta e di conseguenza va tenuta  molto più alta l’attenzione per fare la scelta giusta. In ogni momento, sia in salita che in discesa (dove la stanchezza tende rallentare l’attenzione e la tensione viene meno).
Nello specifico, le maggiori difficoltà a livello tecnico le ho affrontate nelle scalate su cascate di ghiaccio, mentre a livello psicofisico ho trovato molto impegnative le traversate fatte sul Monte Bianco, Monte Rosa o le salite ai 4000 delle Alpi Svizzere.
7.     E quali  pericoli oggettivi hai incontrato in montagna?
Sono insiti nell’ambiente della montagna in base alle situazioni metereologi che e stagionale: caduta sassi, frane, valanghe, maltempo in generale, ecc. Ho   anche io avuto delle esperienze personali abbastanza  forti.
8.     Racconta…
La prima volta che ho avuto un approccio di situazioni forti in montagna è stato  sotto un temporale dove passando vicino alla cima di una montagna ho visto illuminarsi la croce colpita da un fulmine. In un’altra occasione in ambiente invernale sono stato parzialmente sepolto da una valanga, lasciandomi scoperto solo la testa e un braccio e per fortuna soccorso subito da un  amico di escursione e non è stata l’unica, sono anche precipitato per c.a. trenta metri su un percorso attrezzato (ceduto un cavo) con conseguenze  limitate alla frattura di tre costole e ematomi estesi e numerosi come si può intuire…
9.     Le tue esperienze anche negative, hanno rinforzato il tuo amore per la montagna? Perché?
In trent’anni abbondanti di frequentazione della montagna penso di avere vissuto l’esperienza più terribile che un alpinista possa avere: la morte in diretta del proprio amico e compagno di cordata, Carlo, precipitato sotto i miei occhi scendendo dalla via normale della Cima Tosa nel Gruppo di Brenta dopo avere salito l’impegnativa parete Nord.
Questo drammatico episodio non mi ha fatto cambiare atteggiamento verso la montagna, perché la montagna non è assassina! (come molti  media scrivono quando  succedono queste disgrazie). E’ l’errore umano che interviene a creare la situazione descritta.
La frequentazione della montagna richiede  accettazione di tutte le situazioni che possono crearsi  oltre le visioni pubblicitarie e  da cartolina.
Ti ringrazio della tua disponibilità e ti ringrazio anche qui, per avermi insegnato a fotografare e ad amare la montagna più da vicino, portandomi a piccole escursioni alla mia portata, ma comunque emozionanti (nel mio piccolo).

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