Via D’Amelio, 33 anni dopo. Schifani: «La verità non può più attendere»

Trentatré anni dopo, il silenzio assordante di via D’Amelio continua a gridare giustizia. Era il 19 luglio 1992 quando un’autobomba spezzò la vita del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Oggi, la Sicilia si ferma per ricordare quegli eroi civili e per rilanciare un messaggio che non può essere archiviato: la verità su quella strage è ancora incompiuta.

«Il loro sacrificio ci impone di non fermarci. La verità non può più essere rinviata. È un dovere morale e istituzionale», ha dichiarato il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, nel corso della cerimonia di commemorazione svoltasi stamattina alla Caserma Lungaro di Palermo. Al suo fianco, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il capo della Polizia Vittorio Pisani, con i quali ha deposto una corona d’alloro in memoria delle vittime.

«Memoria, verità e coraggio»

Schifani ha ribadito l’impegno della Regione nel sostenere ogni iniziativa che porti a fare piena luce sulla strage. «Per rispetto delle vittime e per dare giustizia a un’intera comunità che chiede chiarezza, memoria e coraggio», ha detto. Un impegno che si intreccia con il sentimento diffuso tra i cittadini: la consapevolezza che, senza verità, la lotta alla mafia resta monca.

Una ferita ancora aperta

Mentre la magistratura continua a scavare tra depistaggi e omissioni, il ricordo di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi diventa ogni anno più urgente. Non solo per onorare i caduti, ma per trasformare la memoria in azione, e l’omaggio in responsabilità civile. In Sicilia e in tutta Italia.

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