UN PENSIERO SEMISERIO SULLE OSTRICHE.

E’ risaputo che la nostra è una cucina povera, essenzialmente una cucina di campagna, ricca della genuinità dei prodotti della fertile terra iblea, come pure la cucina dei nobili e delle classi agiate si rifaceva a quella dei contadini e si differenziava solo per l’abbondanza degli ingredienti e per lo sfarzo di alcune presentazioni e decorazioni.

Normale che in questo scenario grande spazio non hanno avuto le ostriche, molluschi aristocratici, simbolo di piacere e peccato, assurte, grazie alle cronache politiche, a simbolo di potere.

Molluschi bivalvi, la più diffusa è la Crassostrea Gigas, allevata in Francia, costituiscono una prelibatezza ricercata, famosa sin dai tempi dei Romani. Per l’elevato contenuto di zinco, una normale porzione di sei ostriche contiene 5 volte la dose giornaliera consigliata, sono considerate un potente afrodisiaco, favorendo lo zinco la funzionalità ormonale e, in particolare di testosterone essenziale per la produzione di liquido seminale. Giacomo Casanova ne mangiava 50 al giorno.

Da conseguente simbolo di piacere e di peccato, si diceva, sono passate a simbolo di potere da quando si è scoperto che diversi politici ne fanno uso, e anche abuso grazie anche alla disponibilità economica che deriva, ad alcuni, dall’utilizzo improprio di fondi pubblici destinati ai partiti politici.

Come riportava il settimanale Panorama il mese scorso, le cene a base di ostriche sono emerse dallo scandalo della Regione Lazio. Dalle nostre parti si doveva frequentare, per esempio, il Charleston di Palermo o il Costa Azzurra di Catania per vedere commensali consumare in quantità ostriche bagnate dai dolci effluvi di pregiato champagne.

Oggi abbiamo notizia che non solo gli inquisiti si nutrono di ostriche ma anche i comuni politici: l’area preferenziale è quella, apparentemente più agiata di centro-destra.

Rotondi della vecchia Democrazia Cristiana è un accanito estimatore, mentre tradizionale degustatore è il missino Matteoli che li consuma al naturale, senza limone. Di ostriche si nutrivano i Bossi e il loro cassiere Belsito, mentre alla regione Lazio, pietra dello scandalo, uno dei più esperti consumatori era un esponente dell’UDC. Non si deve però pensare che nell’area di sinistra patiscano la fame di ostriche: come da noi si parlava un tempo di onorevoli “caviale e champagne”, così è D’Alema che consuma le famose Pied de Cheval, ostriche giganti che possono arrivare fino ad un chilo e costano 25 euro l’una.

Da noi, purtroppo, terra emarginata di frontiera, le cronache ci parlano solo di politici intenti a celebrare le sorti dell’agroalimentare locale, carote, olio d’olivo, vino da 20 euro a bottiglia, primaticci e miele di timo, arancine e cannoli per gli appuntamenti importanti, focacce e caciocavallo per l’ordinaria amministrazione.

Difficilmente, allo stato attuale, potremo salire agli onori della cronaca nazionale e internazionale per i gusti gastronomici dei politici locali.

Ma restiamo in una attesa densa di speranza e di fiducia nello scatto di sincerità di qualche nostro politico che descriva quali sono i suoi piaceri della tavola e, anche, se gode nel gustarle, quali ostriche preferisce.

Un cenno alle tanto decantate doti del mollusco e una conferma sui suoi benefici effetti sarebbero graditi, anche per colorare la sempre grigia cronaca politica.

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