TUTTI I PAESI BOCCIATI ALL’ESAME SULLA PERFORMANCE CLIMATICA

Si è svolta in Perù, in questi giorni, l’ennesima (la ventesima) Conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP 20 Conferences of the Parties).

Il resoconto è eufemisticamente deludente, anche se non ci si poteva aspettare altro.

Dal Rapporto Germanwatch 2015 che raccoglie i dati sulla performance climatica di molti Paesi del mondo, presentato alla Conferenza sul Clima di Lima si “scopre” che tutti i Paesi in esame possono ritenersi “bocciati” in quanto nessuno è riuscito a contrastare in maniera efficace i mutamenti climatici in corso e a mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei 2°C.   

Le emissioni globali di CO2 in questi anni sono diminuite in ben 51 Stati per lo sviluppo di energie rinnovabili; il trend è positivo ma ancora troppo distante dagli obiettivi.

C’è chi naturalmente sa fare peggio e l’Italia in questo primeggia; leggiamo che «L’Italia, senza un cambio di politiche, non centrerà gli obiettivi di riduzione della CO2»: il nostro Paese come sappiamo ha scelto di puntare sul petrolio spianando la strada alle trivellazioni offshore ed onshore che, oltre agli incalcolabili e devastanti danni al territorio e alle vere economie della nostra terra, sottrarrà investimenti alle politiche che invece dovrebbero essere perseguite, cioè quelle delle rinnovabili (che subiranno inevitabilmente un rallentamento se non addirittura un arresto).

 

Sintesi del Rapporto The Climate Change Performance Index – Results 2015

Legambiente: «Il rapporto prende in considerazione la performance climatica di 58 paesi che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance di ciascun paese è misurata attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI) e si basa per il 60% sulle sue emissioni (30% livello delle emissioni annue e 30% il trend nel corso degli anni), per il 20% sullo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica climatica nazionale (10%) e internazionale (10%). Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, tuttavia per la prima volta quest’anno due paesi – Danimarca e Svezia classificati rispettivamente al 4°e 5° posto – hanno raggiunto una performance soddisfacente, che se confermata nei prossimi anni potrà loro consentire di aggiudicarsi finalmente il podio.

La “top 10” della classifica – con l’eccezione del Marocco che conferma la positiva performance dello scorso anno – è occupata da paesi europei. Vi sono infatti – oltre ai due paesi scandinavi – Regno Unito, Portogallo, Cipro e Irlanda.

La Germania continua a rimanere nelle retrovie, confermando il 22° posto dello scorso anno, dopo molti anni di leadership. Caduta dovuta al rilancio del carbone che ha fatto aumentare le emissioni e compromettere il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990. La Germania con il trend attuale si attesterebbe al 32%. Va pertanto salutato positivamente la revisione del suo piano nazionale sul clima – annunciato a Lima lo scorso 3 dicembre – che prevede misure aggiuntive, tese in particolare alla riduzione delle emissioni nel settore elettrico, al fine di centrare l’obiettivo del 40%.

Un esempio che il nostro paese dovrebbe seguire, sebbene si posizioni leggermente meglio.

L’Italia

L’Italia si classifica, infatti, al 17° posto grazie alla riduzione delle emissioni dovuta in particolare alla recessione economica. Ma se si considera solo la sua politica nazionale sul clima, il nostro paese retrocede in fondo alla classifica occupando il 58° posto.

Situazione confermata dal recente rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) sull’attuazione del pacchetto clima-energia 2020.

L’AEA evidenzia che il nostro paese senza nuove misure aggiuntive non è in grado di rispettare l’obiettivo di riduzione delle emissioni nei settori non-ETS (come trasporti, residenziale, servizi, agricoltura) del 13% rispetto al 2005. Per rispettare questo obiettivo, nel 2020 le emissioni italiane devono attestarsi a 287.9 milioni di tonnellate (MtCO2-eq), mentre secondo le proiezioni dell’AEA il nostro paese viaggia verso 299.4 MtCO2-eq. Con le misure aggiuntive annunciate nel 2012 e non ancora attuate, l’Italia sarebbe invece in grado non solo di colmare il gap ma di garantire una considerevole riduzione raggiungendo 269.9 MtCO2-eq.

 

Va sottolineato, infine, il piccolo passo in avanti fatto da Stati Uniti e Cina, che grazie ai significativi investimenti nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica degli ultimi anni, risalgono il fondo della classifica e si posizionano rispettivamente al 44° e 45° posto. Ulteriori passi in avanti si prevedono per i prossimi anni, se i nuovi impegni annunciati dai due paesi lo scorso novembre verranno tradotti in realtà. Si tratta comunque di primi impegni, politicamente rilevanti, ma ancora insufficienti – come quelli europei dello scorso ottobre – a garantire il giusto contributo di questi paesi a mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia critica dei 2°C».

 

«I governi dovranno mettere in campo la necessaria volontà politica in modo da garantire che il prossimo anno a Parigi si possa raggiungere un ambizioso accordo globale sul clima, ma è fondamentale che anche gli altri Paesi sviluppati ed emergenti, che occupano le posizioni medio-basse della classifica mettano sul tavolo i loro impegni nazionali, in modo da dare nuovo slancio ai negoziati e spingere così anche i paesi in via di sviluppo a fare la loro parte».

                                                                 

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