Report commissione antimafia: anche in provincia di Ragusa i mafiosi si stanno riorganizzando. Ecco tutti i dettagli

Un’organizzazione criminale meno pressante ma capillare, che agisce all’insegna del “pagare meno ma pagare tutti”, una caduta della tensione antimafia che si è tradotta in un sentimento di pericolosa indifferenza dopo l’onda emotiva successiva alle stragi, un tessuto connettivo caratterizzato da ingenti risorse derivanti dal traffico di stupefacenti: è lo spaccato emerso dalla mappatura della commissione Antimafia all’Ars nelle nove province siciliane, nel corso delle quali sono stati auditi: nove prefetti, 19 procuratori capo, 4 procuratori antimafia, 302 amministratori locali, questori, comandanti provinciali della Guardia di finanza e dei Carabinieri, nonché i vertici delle direzioni investigative antimafia.

IL REPORT RIGUARDANTE LA PROVINCIA DI RAGUSA

Secondo quanto dichiarato dai vertici delle forze dell’ordine operanti sul territorio, la tradizionale struttura mandamentale non è invece presente nel Ragusano, ove è attestata la presenza sia di cosa nostra che della stidda. Tale territorio appare piuttosto caratterizzato per una netta distinzione tra la parte meridionale – la cosiddetta “Fascia trasformata”, comprendente le zone di Vittoria, Acate e Comiso –, dove si registra un alto tasso delinquenziale e la parte settentrionale – inclusa l’area di Ragusa – ove le attività della criminalità organizzata non paiono proliferare, eccezion fatta per il traffico di stupefacenti. Nel Ragusano, contrapposizioni cruente tra fazioni hanno riguardato cosche autoctone, benché collegate alle strutture tradizionali attraverso famiglie locali legate a gruppi di 10 riferimento di cosa nostra o della stidda. Lo spazio criminale – lasciato vuoto a seguito degli importanti arresti dei decenni passati – è stato occupato da clan stranieri, specializzati nello spaccio di droga ed oggi torna ad essere oggetto di appetiti della mafia, a seguito del ritorno sul territorio degli affiliati che hanno finito di scontare la propria pena. La definizione dei reali confini tra un’autonomia delle mafie straniere e una loro connivenza con i clan locali che si stanno ricostituendo nel Ragusano rappresenta un importante campo di indagine ed una costante preoccupazione delle forze dell’ordine, per il timore che la coesistenza delle suddette organizzazioni criminali possa far riesplodere la conflittualità. In tal senso parrebbero deporre alcuni episodi di violenza verificatisi nel territorio, tra cui un conflitto a fuoco tra un marocchino e degli appartenenti alla stidda, avuto luogo nel 2020, nonché alcuni sequestri di arsenali nella disponibilità sia della stidda che di cosa nostra.

In questo contesto, un altro effetto di rilievo della mutata percezione del fenomeno estorsivo è costituito dall’assenza di associazioni antiracket locali in alcune province siciliane, a volte anche a seguito di cancellazione delle stesse dagli elenchi prefettizi, per inattività. I dati emersi in tal senso durante alcune delle sedute summenzionate, hanno indotto la Commissione ad approfondire la questione, richiedendo informazioni dettagliate in materia a tutte le prefetture dell’Isola. Da un’analisi dei dati trasmessi è emerso quanto segue. Nella provincia di Agrigento non risultano al momento associazioni iscritte nell’apposito albo prefettizio, istituito ai sensi e per gli effetti dei Decreti del Ministro dell’Interno n. 614/94, n. 451/99 e n. 220/2007, come integrati e modificati dal D.M. n.223 del 30 novembre 2015 (d’ora in avanti “albo prefettizio” o “albo”). Lo stesso avviene nella provincia di Ragusa, a seguito della cancellazione, nel marzo del 2021 delle tre associazioni precedentemente iscritte, per inattività; l’Associazione Antiracket Ragusa risulta tuttavia in attesa di iscrizione.

Se i proventi derivanti dal traffico e dallo spaccio di sostanze stupefacenti costituiscono la linfa che alimenta gran parte delle attività illecite dell’organizzazione mafiosa, altra importante fonte di approvvigionamento di liquidità è rappresentata dalla percezione indebita di contributi a fondo perduto. Su questo fronte, inquirenti e forze dell’ordine segnalano un’importante incidenza delle truffe ai danni dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA). Tali truffe risultano diffuse su tutto il territorio regionale, con prevalenza in quelle province a maggiore vocazione agricola, quali il Nisseno, il Ragusano ed il Siracusano.

Nel Ragusano e nel Messinese la mafia ha fatto oggetto dei propri appetiti illeciti i mercati ortofrutticoli ed in particolare quello di Vittoria il cui volume commerciale è di rilevanza europea. La mafia agrigentina cerca di mettere le mani sui pascoli e sulle risorse idriche, oltre ad investire su gioco d’azzardo e scommesse clandestine. Questi ultimi due settori, insieme a quello della ristorazione, a quello delle discoteche e a quello del noleggio di imbarcazioni sono oggetto di infiltrazioni da parte della mafia messinese. L’aumento esponenziale dei voli da e per la Sicilia orientale e l’incremento dell’attrattività turistica del Siracusano stanno portando la mafia a investire molto su questo territorio, nel tentativo di accaparrarsi tutte le occasioni di guadagno derivanti dall’espansione di un nuovo settore commerciale.

Al di là dei singoli settori su cui si concentrano gli appetiti della mafia, investigatori e organi di polizia hanno evidenziato il generale tentativo da parte della criminalità organizzata di inserirsi nel tessuto sano dell’economia legale attraverso azioni parassitarie. Ciò ha come obiettivo, da un lato, il reperimento di piazze ove operare il riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di droga e dalle altre fonti di finanziamento dell’organizzazione e, dall’altro, l’accaparramento di nuove fonti di guadagno, grazie all’utilizzo di mezzi atti ad eliminare illecitamente la concorrenza, posti in essere con il supporto di professionisti e amministratori infedeli. Questo trend, diffuso in tutta la Sicilia, è particolarmente evidente in quei territori a forte vocazione imprenditoriale, quali il Trapanese, il Catanese, il Palermitano, il Ragusano ed il Siracusano. Nel Nisseno – come già evidenziato – il fenomeno è altrettanto presente, anche se quasi esclusivamente focalizzato sull’economia agricola.

Le dichiarazioni del presidente della commissione antimafia

“Lo Stato e le istituzioni ci sono – ha detto il presidente della commissione, Antonello Cracolici – la società civile però si è fatta più silente. Lo vediamo dal numero in aumento di imprenditori che spontaneamente cercano i clan mafiosi per ‘mettersi a posto’, dall’assenza in alcune province delle associazioni antiracket o da nuove forme di raccolta del pizzo, attraverso forniture o servizi. La nostra azione si concentra su come la società si attrezza per contrastare cosa nostra, per questo stiamo puntando a una sorta di Stati generali dell’antiracket per aumentare la sensibilizzazione. Ma la lotta si fa anche sul piano della reputazione, i boss vanno isolati e deve crescere la consapevolezza che comprare droga significa finanziare la mafia”. Dal report della commissione emerge poi una sempre più diffusa circolazione di armi, specialmente nell’Agrigentino e nel Siracusano, criticità legate al tema degli appalti, dove non serve più la connivenza tra politici e funzionari, ma è sufficiente la disattenzione di chi dovrebbe vigilare o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, e un’insicurezza diffusa nei territori urbani, lamentata dai sindaci dei 391 comuni siciliani che hanno potuto avere con questa commissione un momento di interlocuzione nel corso della mappatura. 

“La commissione Antimafia chiederà al governo regionale – ha aggiunto Cracolici – così come fatto con una risoluzione urgente per i comuni della ‘fascia trasformata’ di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità”. Altro tema strategico nella lotta alle mafie è il riutilizzo dei beni confiscati il cui riuso sociale “deve essere rilanciato – conclude il presidente Cracolici – la Regione può, attraverso l’Irfis, dare un concreto supporto alle aziende confiscate, garantendo un accesso al credito agevolato. Su questo fronte si gioca il prestigio dello Stato”.

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