QUALCUNO QUI PROVA A FARE L’INDIANO

“Pacta sunt servanda”, i patti vanno rispettati. Me lo ha insegnato mio nonno, me lo ripete sempre mio padre, e io lo sto insegnando a mia figlia. “Se ti faccio una promessa poi la mantengo, costi quel che costi”.

Non si tratta di facile demagogia, ma di dignità, di credibilità, di lealtà.

Questo in linea di principio. Nello specifico della vicenda dei due Marò, poi, vicenda intricata, di cui non si hanno informazioni, a mio parere, chiarissime, in cui, è sempre una mia personalissima opinione, le parti italiane coinvolte hanno preferito dedicarsi più alla corsa elettorale, alle bevande energetiche per lo spritn finale, a fosforo, magnesio e potassio per proliferare idee geniali da propinare agli elettori prima, e far quadrare il cubo di rubik emerso dalle votazioni poi, piuttosto che intestarsi una causa di grande rispetto ma di pochi voti.

Troppi pensieri più elevati, più urgenti, più importanti, la poltrona in gioco signori… non due vite indiane spezzate, non la vita di due servitori dello Stato in terra straniera da difendere, né quella dell’ambasciatore italiano in India da tutelare.

Patata bollente da lasciare in mano al nuovo governo come l’aperitivo di benvenuto in crociera.

Per tanti mesi ci siamo sentiti ripetere la favola della riconquistata dignità dell’Italia grazie alla manovra “di lacrime e sangue”, grazie ai tributi ( e non solo economici) pagati al nostro paese da tutti noi, alle nostre cinture sempre più strette, ai crateri trivellati attorno alle imprese e alle fabbriche, alla stretta creditizia, economica e finanziaria che tanto sangue vero continua a versare ogni giorno al nostro Paese per redimerlo da pagliacciate che ci hanno trasformati in un’allegra brigata rubiconda e godereccia, che deride le Istituzioni, che  si fa gioco della legge, che snobba le Autorità internazionali.

Eravamo tornati ad essere credibili grazie alle tasse. Ci dicevano.

Si tornava, dopo un ventennio che ormai tutti consociamo, a parlare di dignità italiana. Noi stessi italiani cominciavamo a crederci, a pronunciare la nostra nazionalità con un filo di voce in più, senza nascondere la faccia dentro un borsa in una fantomatica ricerca di qualcosa alla domanda “da dove vieni….?”

E’ un grido sordo, come quello del peggiore degli incubi: riprendiamoci la nostra dignità, il nostro orgoglio, la fierezza di un popolo che viene deriso pure durante le partite di pallone.

Che qualcuno “che conta” pensi a quanto grande e grave potrebbe essere la crisi  diplomatica internazionale con un paese come l’India, orgoglioso e in crescita, tanto che neanche l’Unione Europea si sente di appoggiare l’una o l’altra parte.

In alternativa si potrebbe chiedere l’estremo sacrificio ai due marò, o all’ambasciatore che aveva dato la sua parola ma che il governo ha disatteso.

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