PROFEZIA E POLITICA di Luciano Nicastro

Profezia e politica sono stati sempre ritenuti due poli opposti e inconciliabili. L’una, annunciando un futuro che non c’è, si pone su una dimensione utopistica ed è stata considerata una evasione spiritualistica dall’impegno concreto, tipica della cultura antropologica pessimistica e fatalista dei tempi di crisi. E’ stata propria in generale delle religioni e delle ideologie. La seconda è ritenuta invece la via dura dell’impegno concreto nel presente, un’arte difficile  da apprendere ed esercitare per l’efficacia e il successo ed è ritenuta la via maestra necessaria da praticare per il governo possibile delle società complesse in divenire. La virtù politica della mediazione e della sintesi prospettica è stata ritenuta infatti una qualità rara,propria di una cultura antropologica realistica, ottimistica e migliorista di élite, adatta per una strategia riformistica in periodi normali. Di solito è stata propria di una mentalità secolare, pragmatica e volitiva. Una politica senza profezia non ha mai generato eventi di sconvolgimenti rivoluzionari. Una profezia senza proiezione politica è stata alienante e funzionale alla conservazione e allo status quo. La distinzione tra le due esperienze umane è stata utile nella “modernità” ed è ancora positiva, ma non lo è la loro separazione o peggio la teorizzazione filosofica del loro dualismo insuperabile in quanto finisce per lacerare lo specchio fedele della realtà spezzandone il volto unitario e profondo delle due facce di struttura, ideale e reale, concreta e possibile,consumando nella manifestazione dell’apparire l’ordito teleologico e vanificando il disegno storico implicito che è sempre divenire di Qualcosa in termini di valore che permane e a cui il movimento e il sapere tende nella direzione di una trascendenza che è presente e sottesa nel significato. Il contributo di E. Mounier a riguardo è stato emblematico a partire dalla sua concezione della fede come “avventura cristiana”, come scelta del primato ermeneutico e strategico dello spirituale incarnato e dell’impegno conseguente come “engagement”, Terza Via come prassi…(Rubbettino 2009).  La Resurrezione riporta ad unità la storia umana, sacra e profana, e restituisce all’uomo la sua vocazione di messaggero-profeta e di architetto-operaio per cui non si può più strumentalizzare o negare l’umanità dell’uomo e la fraternità della comunità separando profezia e politica. La nuova massima dell’avventura cristiana ma, in senso lato, credente e laica diventa nel labirinto contemporaneo quella di « come mediazione e comprensione dell’azione motivante e finale del soprannaturalismo storico. Come ha precisato Armando Rigobello, approfondendo il pensiero di Mounier, “l’evasione dalla vita, con tutta la sua ricchezza” non appartiene all’ortodossia del Dio fatto uomo ma “è la tentazione di un cristianesimo malinteso”. Profezia e politica non sono un campo di lotta senza fine tra il bene e il male scoperti con la ragione o con la fede ma le polarità dialettiche dell’avventura cristiana “nella giornata terrena” in una storia “strutturalmente sacra” ma piena di sentieri e di contenuti mondani e laici. Il tempo del “xairos” scivola in un generoso e coerente impegno tra la parusia e la diaconia, fra la provvidenza divina che spira e illumina il contesto evidenziando i segni dei tempi e la libertà umana che “decide” con coraggio anche se imperfettamente nelle varie situazioni, tra la fedeltà ai valori trascendenti e il richiamo degli interessi cogenti. L’uomo spirituale è essenzialmente “profeta” e nello stesso tempo“politico” responsabilmente impegnato utopicamente nel reale presente a costruire il futuro possibile e preferibile. Il suo stile di vita è segnato dalla fedeltà ai valori e al valore della verità dell’Amore nei confronti dei fratelli più bisognosi. Egli è “vicino al popolo umile e all’umile clero, rispettando “in ogni persona un tabernacolo di Dio” (RPC p. 340). La lezione di Mounier è ancora attuale non solo per quanto riguarda il metodo ma, a mio parere, è anche illuminante in termini paradigmatici per la cultura contemporanea della crisi in quanto la sua filosofia e sociologia politica, pur non essendo “sistematica” non è datata in senso deteriore ed offre ancora feconde coordinate strategiche di valore e di progetto per un ulteriore cammino di civiltà dell’Umanità nel Mondo globale come ho dimostrato nel mio recente saggio: trattare ogni uomo come una persona, non come un elemento numerico» (RPC p. 340). Mounier direbbe ancora che ha voluto non solo trattare dell’uomo ma combattere in suo nome perchè «une révolution est un affaire d’hommes, que sa principale efficacité est la flamme intérieure qui se communique d’homme à homme quand les hommes s’offrent gratuitement aux hommes» (Les certitudes difficiles).

A sessant’anni dalla sua morte non trovo in Lui migliore eredità del suo capitale umano e spirituale che la sua concezione della politica come profezia storica e supremazia “incarnata” di una fedeltà testimoniale nella quale si paga di persona con l’esempio ottimistico e tragico di una vita esemplare e impegnata in una missione educativa,civile e sovrannaturale come staffetta nobile per i tempi duri dell’attuale antropologia culturale e politica post-moderna che, oscillando dal relativismo assoluto al nichilismo metodologico, non riesce a disvelare il senso misterioso dello spiritualismo personalistico e comunitario e ad entrare nel Regno degli uomini liberi , buoni e solidali.

Luciano  Nicastro

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it