Scandalo: la Cortellesi meritava di più dai David di Donatello

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

La tocco piano: non ne hanno azzeccata una neppure per sbaglio. 

Battute a parte, la mia idea, di cui anche io potrei fare tranquillamente a meno, è netta. In questa edizione dei David di Donatello 2024, al di là delle apparenze, il film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani” (che io ho amato tiepidamente), ha ricevuto meno di quanto avrebbe meritato. E peraltro nelle forme e per le motivazioni sovente sbagliate. Lo dico da amante del cinema influenzato dalla formazione di psicoterapeuta. In modo del tutto personale ovviamente.

Il colossal di incassi della Cortellesi, uscito lo scorso anno nelle sale, ha avuto l’indiscutibile merito di attrarre al cinema fiumi di spettatori (talvolta insospettabili), circa cinque milioni. Spettatori di tutte le età. E ha avuto il dono e la grazia di suscitare riflessioni condivise e confronti inattesi. Era candidato a diciannove statuette del David di Donatello e ne ha ottenute infine sei. 

Il premio per miglior film è andato a “Io capitano”‘ di Matteo Garrone, che ha conquistato sette premi, superando la pellicola della Cortellesi e “Rapito” di Marco Bellocchio (che ne ha totalizzate cinque).

Alla Cortellesi è andato il David per la migliore attrice protagonista. Condivido la scelta, soprattutto per quanto riguarda le scene in cui interagiscono madre e figlia. Al suo film anche il premio per la miglior attrice non protagonista, Emanuela Fanelli (nel ruolo dell’amica). A me ha colpito di più l’interpretazione della “figlia”.  

Al film anche il David del pubblico (più che di riconoscimento parlerei in questo caso di esame della realtà o ovvietà dell’evidenza). 

Al film anche il premio per la miglior sceneggiatura originale. Il minimo sindacale direi, per una trama capace di germinare un simile incantesimo universale.

Il David anche per il miglior esordio alla regia. Ma, soggiungo, quello della Cortellesi è stato ben più di un esordio. 

La regista vince anche il premio dei Giovani, assegnato da una giuria di ragazzi delle scuole. Come a dire che i più giovani e le istituzioni educative e pedagogiche non si trattengono nel premiare tutto ciò che deve essere premiato sino in fondo.

Ebbene, il mio disappunto nasce da una considerazione che ho già condiviso altrove. Credo che il successo della storia sia dovuto a ciò che di invisibile essa ha suscitato. Nella potenza di un significato che tocca in modo subliminale l’inconscio femminile di milioni di uomini e di donne. Per la semplice e stupefacente ragione che questo film non è quello che sembra. Non è eminentemente un’opera di denuncia del patriarcato e della violenza di genere, né la rappresentazione del dramma sociale per la liberazione della donna/moglie, nella guerra contro le discriminazioni e le disuguaglianze. È innanzitutto ed essenzialmente il racconto della cosa più antica e potente nella storia del genere umano: l’amore di una madre nei confronti della figlia. La madre sacrifica se stessa, lavora come una mula e mette da parte i soldi per gli studi della figlia, accantona la propria felicità, non fugge con l’amato lasciando soli i suoi, copre la figlia, si prende le colpe e le legnate per una disattenzione della giovane, commissiona un crimine pur di rubare la figlia a un destino verosimilmente ignobile simile al suo, distoglie se stessa dalla propria realizzazione individuale, trascende il bisogno atavico di garantire la propria incolumità fisica. Insomma, nulla di più lontano da un femminismo intransigente di maniera.

Che ne fosse consapevole o meno, che fosse o no questa la sua intenzione, Paola Cortellesi ha messo in scena la forza prodigiosa dell’abisso, il movente sacro del concepimento, della gravidanza, del parto, dell’accudimento, della maternità universale, nella trama di una complicità imprendibile tra due donne. In una spiritualità animale e laica, voluta da una religiosità e bellezza inarrivabili. Sin dalla creazione di tutte le cose. 

Alla luce di questa notazione, non mi convince l’atteggiamento di chi non ha voluto riconoscere sino in fondo e con il dovuto coraggio questa cosa: il successo straordinario e anomalo di pubblico della pellicola avrebbe preteso un riscontro, se possibile, più netto (nel rispetto comunque dovuto agli altri altissimi profili di tutti i candidati).

Forse senza volerlo, la regista ha ripreso come con un cellulare la prima scena della nascita di ogni cosa: il sorriso segreto tra due donne. Una madre e sua figlia. E questa, agli occhi di uno psicologo, è una declinazione preziosa della bellezza che avrebbe dovuto abbagliare in modo più definitivo anche il palco dei David di Donatello.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it