Passione tartufi: un passo avanti è stato fatto, che possa diventare un’occasione per la Sicilia? L’intervista

E’ di appena qualche settimana fa l’approvazione di una legge che segna, in qualche modo, una pietra miliare circa la tutela del tartufo in Sicilia. Erano circa 35 anni che si aspettava una legge in tal senso e di questo ci rallegriamo anche se, nei fatti, bisognerà poi vedere sul campo quanto la normativa possa essere efficace in termini pratici. Intanto, però, un punto sulla questione è stato messo e bisogna anche riconoscere che il tartufo siciliano, negli ultimi decenni, ha assunto un ruolo, nel quadro gastronomico isolano e non solo, piuttosto importante. Abbiamo chiesto un’opinione sulla normativa ad un esperto del settore: il professor Giovanni Amato, 40 anni, docente di discipline scientifiche in Istituti secondari di secondo grado, micologo, responsabile per l’area iblea dell’associazione Gruppi di Ricerca Micologica. L’occasione, è stata propizia anche per parlare dei tartufi siciliani, della loro collocazione sul mercato e quali sono le specie di maggiore importanza, dal punto di vista gastronomico, nell’isola.

E’ stata recentemente approvata all’Ars una normativa che, nelle intenzioni, vuole coprire un vuoto che c’era in Sicilia circa la questione della raccolta e del commercio dei tartufi. Da dove partivamo? Qual era la situazione in Sicilia?

“Si partiva da una realtà in cui il vuoto normativo ha, per decenni, ostacolato la corretta gestione di tale importante risorsa. In tale contesto andava persino ad inserirsi una pletora di regolamenti emanati da diversi Comuni siciliani. Ne derivava un quadro generale poco chiaro e sicuramente in grado di ostacolare la valorizzazione e la tutela dei tartufi siciliani”.

Secondo lei, qual è la motivazione storica che ha portato a un “ritardo” della Sicilia in questa materia?

“Se consideriamo che i primi ritrovamenti di tartufi sul territorio regionale risalgono al XIX secolo e che le Legge quadro che ne regolamenta raccolta e commercializzazione a livello nazionale è del 1985 ed è già pronta per essere abrogata e sostituita da una normativa decisamente più aggiornata. Se appare ben evidente l’esistenza di un ritardo di oltre tre decenni, meno semplice è fornire eventuali argomentazioni che possano giustificare tale ritardo. Probabilmente la quasi totale mancanza di una conoscenza diffusa in merito alla presenza di tali funghi ipogei sul territorio regionale (con conseguente assenza di richiesta da parte del mercato)  e la mancanza cronica di quella lungimiranza che consente di guardare al futuro per quanto concerne la gestione di una risorsa sono le cause principali di tale immobilismo”.

Quali sono le varietà di tartufi maggiormente presenti in Sicilia?

“Se riserviamo la nostra attenzione alle specie di interesse gastronomico e, di conseguenza, economico,  le specie più frequenti risultano essere lo scorzone (Tuber aestivum nelle due forme aestivum e uncinatum) ed il bianchetto o marzuolo (Tuber borchii). Meno abbondante risulta essere la specie Tuber brumale, tartufo nero tipico del periodo invernale.

Molto meno frequenti o addirittura assenti per alcuni in ragione di segnalazioni localizzate e non più aggiornate risultano essere il tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum) e il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum).

A tali specie sono da aggiungere numerose altre entità prive di qualsiasi valore gastronomico ed economico come Tuber excavatum, Tuber rufum e Tuber panniferum solo per citarne alcune”.

 

Il tartufo in Sicilia, a prescindere dalla legge approvata, può avere un futuro nel mercato, seppur di nicchia?

“Certamente, nel corso degli ultimi anni i tartufi (siciliani e non) sono stati oggetto di una crescente attenzione sotto diversi punti di vista. Oggi un numero sempre maggiore di ristoratori siciliani utilizza i tartufi e questo può fungere da volano sia per la raccolta che per la coltivazione. La nostra Associazione è da anni impegnata in tal senso, abbiamo avviato un’importante collaborazione con l’Associazione dei Cuochi Iblei, stiamo realizzando un corso di micologia con l’Istituto “Principi Grimaldi” di Modica e, recentemente, siamo stati contattati dal sindaco di Giarratana allo scopo di avviare un importante rapporto di collaborazione destinato alla promozione del territorio del comune montano. Tutto questo a dimostrazione del crescente interesse che stanno suscitando i tartufi”.

E’ possibile coltivare i tartufi?

“La coltivazione è possibile e può certamente rappresentare una possibilità economica da non sottovalutare, soprattutto nelle aree che presentano condizioni pedo-climatiche idonee come buona parte del territorio ibleo. Basti pensare che la coltivazione di questi pregiati funghi ipogei è da diversi anni una realtà in Paesi come il Sudafrica, la Nuova Zelanda e la Cina. La coltivazione potrebbe addirittura oltre che rappresentare una fonte di reddito, potrebbe per certi versi andare a costituire un esempio di coltura sostenibile in ragione del fatto che si basa sulla messa a dimora di specie arboree, meglio ancora se autoctone, in aree spesso non più interessate da attività agricole “tradizionali”.

 

Nel complesso, come giudica questa legge approvata?

“Se ci limitiamo a valutarne l’approvazione in un contesto di vuoto legislativo, di certo costituisce un importante passo in avanti che può essere giudicato solo positivamente. Ritengo tuttavia che valutazioni più attente possano essere presentate solo dopo aver verificato se la normativa in questione sarà in grado di dare i frutti sperati in termini di tutela, gestione e promozione dei tartufi.

In tal senso un ruolo fondamentale lo svolgeranno i controlli, operati sia sui raccoglitori che sulla parte successiva della filiera fino al consumo finale.

Come Associazione ci auguriamo che i tempi necessari a formalizzare gli aspetti applicativi della norma siano rispettati in modo tale da avviare quanto prima i corsi necessari alla formazione dei raccoglitori”.

 

 

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