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L’OMBRA DI COSA NOSTRA TORNA SULLA PROTESTA SICILIANA “FORZA D’URTO”
29 Gen 2012 06:49
Claudio Fava, uno dei promotori della lista e del progetto politico Sinistra e Libertà, interviene sulla delicata questione che fin dai primissimi giorni della protesta siciliana “Forza d’Urto” rimbalzava fra le pagine del web e delle (poche) testate giornalistiche che si sono occupate della manifestazione.
Fava si domanda infatti il perché Vincenzo Ercolano, figlio di Pippo Ercolano e nipote di Nitto Santapoala, si sia trovato accanto ai leader siciliani della protesta dei “Forconi”. Ercolano e Santapaola sono capi storici di Cosa Nostra nella Sicilia Orientale e pare più che legittimo chiedersi cosa ci faccia l’ultimo erede della più spietata famiglia mafiosa di Catania alla conferenza stampa, improvvisata per strada, in cui i “rivoluzionari” siciliani spiegano che mai faranno un passo indietro, “boia chi molla il forcone”, “la Sicilia ai siciliani” e via dicendo? Alcuni potrebbero rispondere dicendo che Vincenzo fa il mestiere suo dal momento che la famiglia Ercolano per decenni ha investito i ricavi delle proprie attività criminali in un’impresa di autotrasporti, l’Avimec, poi confiscata per mafia.
“Nei tempi d’oro – spiega Claudio Fava – dentro i Tir dell’Avimec viaggiava, ben protetto, Nitto Santapaola quando doveva spostarsi da un rifugio all’altro. E per anni non c’è stato cantiere siciliano che non abbia affidato in subappalto il movimento terra ai buoni servizi dell’impresa mafiosa degli Ercolano. Famiglia dai destini intensi. Lo zio Salvatore, detto “Turi ‘do Camion”, sta all’ergastolo per omicidio. Il padre Pippo, nominato reggente della cosca Santapaola quando il cognato Nitto finì in carcere, prima d’essere arrestato anche lui per associazione mafiosa, fu un ostinato frequentatore dei salotti buoni di Catania.”
Pippo ebbe inoltre rapporti con Mario Ciancio, editore e padrone del foglio locale “La Sicilia”, quando un cronista di primo pelo ebbe l’ardore di pubblicare un mattinale dei carabinieri in cui Pippo Ercolano veniva citato come noto capomafia. Il giorno dopo, appena il cronista mise piede in redazione, Ciancio lo mandò a chiamare: nel suo studio, ad aspettarlo, c’era anche Ercolano, venuto a protestare con il padrone del giornale per la pubblicazione di quell’articoletto. In qualunque altro giornale, se un mafioso fosse venuto a lamentarsi per una notizia, vera, che lo riguardava, l’editore avrebbe telefonato al 113. Mario Ciancio invece ricevette Ercolano, convocò il cronista colpevole d’aver dato la notizia, vera, e, in presenza del capomafia, gli fece un solenne rimprovero: “Che mai più ti accada di chiamare mafioso il qui presente signor Ercolano!”.
“Veramente l’hanno scritto i carabinieri…”, provò a giustificarsi il cronista e Ciancio replicò: “Noi non facciamo i carabinieri!” e di quello che c’era scritto sul loro rapporto a lui non gliene fregava nulla. Intanto Ercolano, seduto comodamente sulla sua poltrona, annuiva con paterno silenzio. In quegli stessi giorni uno dei due figli di don Pippo, Aldo Ercolano, era stato appena giudicato e condannato all’ergastolo per aver ammazzato con cinque colpi di pistola alla nuca il giornalista Giuseppe Fava: era il 5 gennaio del 1984, si mossero in cinque, uno solo sparò: lui, l’Ercolano.
L’altro figlio, Vincenzo, indagato nel processo Orione per associazione mafiosa ed estorsione, arrestato, poi scarcerato ma considerato in tutti i rapporti di polizia stabilmente inserito nell’organizzazione di Cosa Nostra, oggi sta invece tra i “Forconi” siciliani, ad aizzare, vigilare, sorvegliare, impedire, minacciare.
Sul disagio più o meno legittimo di una categoria c’è adesso l’impronta oscura di una famiglia che ha fatto la storia della mafia in Sicilia. Storia che continua: è di ieri la notizia di un’inchiesta napoletana che ha svelato l’alleanza tra il clan dei Casalesi della famiglia Sandokan e Cosa Nostra. Il patto riguarda il controllo dei trasporti su gomma e della commercializzazione all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli sull’asse Sicilia-Campania-Lazio. Insomma Tir, camion, ditte di trasporti .
“Non tiriamo conclusioni – conclude Fava – ma la preoccupazione resta. Che dentro l’alibi di certe proteste, la mafia sappia ricavarsi i propri spazi, agiti i propri forconi, lavori per far molto rumore e per governare il silenzio che poi ne seguirà. I capipopolo in doppio petto che oggi si dicono dalle parti dei rivoltosi, a cominciare dal presidente della regione Raffaele Lombardo, restino pure da quella parte; ma se hanno l’onestà intellettuale delle proprie parole e la libertà delle proprie azioni, questa domanda la facciano ad alta voce anche loro: che ci fa il rappresentante di una tra le più potenti e spietate famiglie mafiose siciliane in prima fila accanto ai forconi degli incazzati siciliani?”
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