“L’OLTRE” E IL RESPIRO FILOSOFICO NELLA SILLOGE POETICA DI DOMENICO PISANA

Il rigore… morale, stilistico, letterario e persino esistenziale è il solo rimedio contro ogni supponenza che non meriti dignità artistica. E’ il caso dell’opera “Tra naufragio e speranza” del poeta Domenico Pisana (Modica 1958). La precisione e l’esattezza del dettato non lasciano spazio a nessuna velleità personalistica, nessuna presunzione che sia al di fuori della verità del verso. Nel solco di una tradizione forse a volte troppo battuta, Pisana rivendica con forza un suo spazio lirico in cui si impegna, attraverso la poesia, a lottare contro ogni bruttura, fino allo spasimo… oltre il punto in cui il senso comune suggerirebbe una resa. E invece no! Questo poeta non si arrende e chiede al suo lettore di fare altrettanto.

 “La luce emancipata della modernità/ s’è spenta in un naufragio/di ragioni sconvolte” dice il poeta in significativi versi. La ragione piegata trasuda siero dalle piaghe da decubito generate dallo sforzo di essere in agguato a una verità che non può essere intercettata con gli strumenti della ragione. Un tema antico, senza ombra di dubbio, che Pisana riprende dalla tradizione della metafisica tardo medievale in cui fede e ragione sono in un profondo dissidio senza sintesi.

Questo non vuol dire alienarsi dalla ragione ma comprenderne i limiti e affidarsi a nuovi orizzonti che, nel caso di Pisana, sono quelli della fede: “naufragio e speranza” sono in un intreccio dialettico per cui non è possibile pensare il naufragio come perdizione definitiva. Non è il naufragio ungarettiano in cui sono possibili solo momenti di respiro. E’ il naufragio di chi, nella assoluta disperazione attende di riprendere una “bilancia” con il suo equilibrio. C’è nella disperazione della ragione, nel dramma dell’esattezza, una crepa che apre, non si sa in che misura, a una possibilità di salvezza.

Il versificare di Pisana è piuttosto lineare, prosaico, talvolta connotato da una esigenza di dire oltre, di  dire altro, di dire di più, grazie a un uso soverchiante di aggettivazioni che sono probabilmente il segno di una insufficienza della parola. Si deve dire, per onestà, che la poesia di Pisana riluce di tematiche filosofiche antiche, mai risolte e pur tuttavia riproposte in nuove forme di drammatica attualità.

La frase di Horkeimer e Adorno (“La terra irrimediabilmente illuminata risplende di inesorabile sventura.”), tratta da “Dialettica dell’Illuminismo” e posta in esergo al libro, già ci indica l’humus di cui il lettore si impregnerà. La ragione che ci illumina apre nuovi drammi, più potenti più pericolosi, più scioccanti di quelli che intende o ha inteso sedare.

La luce emancipata della modernità

s’è spenta in un naufragio

                         di ragioni sconvolte.

Sulla fragilità dell’ideologia

                        le menti sembravano risorte

e la ricchezza del sapere si effondeva

attraverso il veltro delle certezze,

mentre gongolanti marciavamo

                      per i sentieri della rivoluzione

senza cercarne i fondamenti di senso.

 

Cantammo la morte di Dio,

                     abbracciammo la luce;

ci ritrovammo nelle piazze per danzare,

 gridammo furenti parole assolute,

innalzammo il vessillo della ragione.

Con forza erigemmo nuove barriere

           mentre il muro stentava a crollare.

 

La verità senza verità era alta  nel cielo,

le parole suonavano come dogmi.

Filosofie secche di trascendenza inneggiavano

imponendosi nella struggente aria di libertà.

Nella penombra d’un mondo nuovo

         un ingenuo poeta credeva lottando.

Mi affacciai alla finestra iridata di luce

e sulla ragione distesi le mie ansie di risposte.

 

I miei amici mi sfidavano sicuri;

altezzosi contestavano la Luce;

non vollero piegarsi all’umiltà,

non si arresero all’evidenza del limite;

mi lasciarono

                   nella stoltezza del mistero.

Combatterono lo spirito per la carne,

attraversarono i meandri di una ragione divenuta dio.

Follia della modernità, eden ritrovato

                     dell’eternità della materia!

Coscienza e libertà

                   mi spingevano a reagire:

con coraggio. Mi ritrovai balbuziente

nell’olimpo delle parole senza limite,

nella reggia d’una luce oscura di Luce.

 

La pochezza di un pensiero debole

                              maturato nell’ombra

pian piano ha tracciato i destini.

Abbiamo lasciato alle spalle il viaggio

                              che credevamo illimitato 

e ci siamo arresi alla spontanea caduta delle foglie

alla sventura portata nei nostri cuori

                               da una luce attraversata dall’inganno.

 

Ora  ci siamo svegliati dal sonno

e con gli occhi aperti cerchiamo nuova luce

                                 negli angoli del cuore,

sognando il tempo della verità

                                 con la ragione sgombrata dalle tenebre.

L’illusione è durata quando un filo d’erba

                                 quando un giorno dista dalla notte!

La ragione s’è messa a ri-cercare la Ragione

                                per ritrovare la luce che non risplende di sventura!

 dalla riva vedo naufragare una bilancia.

                                                 Un piatto

resiste alle onde, l’altro scivola inerme sul fondo.

 

Vedo  tra la schiuma  un  muro crollato

 bilance prive di equilibrio

 l’acqua fangosa che sbatte sulle toghe nere,

              un quadro di colore variopinto, la legge,

              coltre tirata da mani invisibili.

 

Sono qui ad attendere  il suono giusto della tua voce

la melodia dell’arpa che squarcia il silenzio ingiusto:

              non reggo alle parole che dicono il falso,

             alla bilancia doppia che giudica a colori, 

l’anima anela alla bilancia vera.

  

Da “Tra naufragio e speranza” Europa Edizioni

 

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it