LO “SPREAD” DELLA GIUSTIZIA

Lo spread è un termine che ultimamente vediamo sempre di più usato in materia di economia, con riferimento alla credibilità del sistema economico. L’uso di termini stranieri, in un paese in cui a volte non si conosce neanche il significato delle parole italiane, è oltremodo inopportuno. Di questa abitudine si avvalgono le persone che vogliono apparire colte e, a volte, quelle che vogliono confondere gli interlocutori. Come, una volta, si usava il latino per abbindolare gli ignoranti (Don Abbondio, non sapendo come giustificarsi con Renzo, cominciò a sciorinare termini di “latinorum” che per niente si confacevano al suo diniego di celebrare il matrimonio con Lucia).
E allora, per evitare di incorrere nel malvezzo di cui sopra, cominciamo a spiegare il significato di spread. Il termine, che in inglese vuol dire “differenza”, viene usato in economia per indicare la differenza tra i rendimenti dei titoli tedeschi e dei titoli di stato italiani. Poiché il rendimento di un titolo di stato rappresenta anche il suo livello di rischio,  più è alto il rendimento, maggiore sarà il rischio che l’emittente non paghi le cedole e non rimborsi il capitale alla scadenza. In quest’ottica, se lo spread tra Btp e Bund aumenta, significa che il rendimento del nostro Btp sta aumentando nei confronti del rendimento offerto da un’obbligazione ritenuta sicura come il Bund. Se il rendimento del Btp aumenta, significa che il mercato percepisce il nostro titolo di stato come meno sicuro rispetto all’equivalente tedesco. Se lo spread aumenta, significa che il mercato giudica in aumento il rischio default per l’Italia, ossia giudica l’Italia sempre meno affidabile.
Tralasciando questa divagazione economica e tornando al nostro argomento, non c’è solo uno spread tra la nostra economia e quella di altri paesi europei (che a dire il vero il governo Monti sta facendo rientrare), ma anche uno spread tra l’efficienza del sistema giudiziario italiano e quello degli altri paesi europei.
Il rapporto Doing Business 2011, pubblicazione congiunta dello scorso ottobre della Banca Mondiale e della Società Finanziaria Internazionale, valuta le regolamentazioni riguardanti le imprese locali di 183 sistemi economici e le classifica sulla base di 10 aree di regolamentazione imprenditoriale e commerciale (http://www.doingbusiness.org/).
Anche quest’anno i dati che riguardano l’Italia riflettono chiaramente le inefficienze della burocrazia e del nostro sistema giudiziario.
Considerando, sui 183 paesi monitorati dal rapporto, i 27 membri dell’UE, l’Italia risulta:
• penultima (87) nella “facilità di fare affari” davanti soltanto alla Grecia (100);
• ultima (158 su 183) per quanto riguarda l’esecuzione dei contratti in base a un indicatore che misura l’efficienza del sistema giudiziario civile nella risoluzione di una controversia commerciale
• penultima nella durata media di un procedimento per dirimere una controversia commerciale (1210 giorni), a fronte di una media europea di 556 giorni.
“Rendere la giustizia efficiente”, “scommettere sulle proprie capacita’”, “ridisegnare un’Italia migliore”. E’ questa, secondo il ministro per la Giustizia, Paola Severino, la sfida che attende l’Italia. A Catania per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, sabato 28 gennaio, il guardasigilli garantisce “l’attenzione costante del governo” a tutte le procure esposte sul fronte della lotta contro la mafia, invita a condividere lo “spirito di servizio” e la “spinta nobile” dei giudici e ribadisce che “il livello di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle carceri”, perché “lo Stato non ripaga mai con la vendetta ma vince con le armi del giudizio e dell’applicazione scrupolosa delle regole e delle leggi”. E promette, quale soluzione, il ridisegno delle circoscrizioni giudiziarie, una massiccia dose di informatizzazione e digitalizzazione per dare efficienza al sistema, modifiche mirate dei codici.
A questo, punto, mi si permetta di osservare che se lo spread dell’economia si può affrontare anche con il cambiamento di immagine del governo e con l’attesa di misure che saranno adottate da un governo forte sull’aspetto economico, quello sulla giustizia ha radici lontane nel tempo e, per la soluzione, non bastano bei discorsi ma servono misure articolate e non gestibili da un governo che abbia una durata inferiore ai cinque anni di una legislatura.
A mio parere i fatti ostativi ad una riforma rapida della giustizia sono essenzialmente due.
Il primo è che non si può informatizzare un sistema giudiziario nato nel 1900 e che, sebbene aggiornato, ha le caratteristiche di un sistema fondato sulla carta, la penna e il calamaio. Il codice di procedura civile risale agli anni trenta del secolo scorso; quello di procedura penale al 1989 ma non ha niente di innovativo sul piano delle impostazioni generali organizzative. Digitalizzare questo sistema è come mettere delle motrici ad alta velocità sulla linea ferroviaria Ragusa – Siracusa: se non si vuole far deragliare il treno, si deve andare alla stessa velocità della littorina. Allora la soluzione è quella di riprogettare un sistema (gli specialisti parlano di re-ingegnerizzazione dei processi) mettendo assieme specialisti di diritto, informatica e organizzazione per elaborare ex novo un sistema in cui le norme procedurali, i sistemi informatici e i processi organizzativi nascano insieme per essere compatibili tra di loro.
E qui si presenta il secondo problema. Il sistema giudiziario italiano è predominato dalla cultura giuridica e, anzi, dalla cultura giuridica dei magistrati. Due esempi. I magistrati occupano i posti dirigenziali e direttivi chiave del ministero della giustizia, un organo che, secondo la Costituzione, ha funzioni di controllo sulla magistratura, oltre che di organizzazione dei servizi. Anche i ministri dei governi di centrodestra, non certo teneri con i magistrati, si sono tenuti, quali più stretti collaboratori, dei magistrati distaccati al ministero (circa 150 che potrebbero lavorare nei tribunali). Unica amministrazione italiana, la magistratura ha istituito il corpo dei “magistrati referenti per l’informatica”, magistrati dilettanti di informatica che controllano l’operato dei tecnici professionisti del settore. Con una monopolizzazione così totalizzante della cultura giuridica è, allo stato, impossibile far digerire ai magistrati una riforma in cui studiosi di altre discipline possano sedersi al tavolo a discutere alla pari con loro.
Aspettiamo, se mai ci sarà, una rivoluzione culturale che porti il nostro paese nell’ambito della modernità.
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