LO CHÂTEAU DELLA DISCORDIA

Si sta per assistere a un nuovo scontro tra Francia e America, in particolare gli Stati Uniti. La tematica è nuovamente di ambito enogastronomico. L’ultima controversia di notevole rilievo tra la Francia e il continente americano fu quella relativa allo Champagne. Sebbene la questione riguardasse tutti i produttori mondiali di vino, quelli americani, cioè di tutto il continente, furono gli ultimi a cedere sull’esclusiva del nome Champagne riconosciuta ai soli produttori di questo spumante proveniente dalla regione omonima francese. Non tutti i paesi accettarono di cedere l’esclusiva, ma la Francia ottenne il divieto di esportare in Europa, vini etichettati come Champagne, ma prodotti in altri luoghi geografici.

Questa usurpazione dei nomi è una pratica molto usata nei paesi del Nuovo Mondo e in Giappone, ma anche in paesi di nuovo sviluppo economico, come la Cina. Su questi temi la Francia è sempre stata molto attenta, riuscendo ad ottenere in queste controversie l’appoggio soprattutto dell’Italia, della Spagna e della Gran Bretagna. I primi due paesi perché anch’essi vittime di usurpazione del nome dei proprio prodotti di punta: basti pensare al Parmigiano, per il quale esiste una battaglia ancora in corso in America, dove si reperiscono una quantità sterminata d’imitazioni di questo famosissimo formaggio italiano, spesso prodotto da ditte appartenenti a italiani. L’appoggio della Gran Bretagna, invece, si deve al fatto che il mercato britannico continua ad essere uno dei più importanti clienti dei prodotti francesi, in particolare del vino.

Proprio riguardo al vino, scaturisce l’ultima controversia tra Francia e America. Essa riguarda l’uso del termine château. Questo termine che richiama in primis le case produttrici di vino di Bordeaux, in verità è usato in gran parte della Francia. Il suo uso però può essere autorizzato solo se risponde a certe caratteristiche. In origine era usato a Bordeaux per indicare semplicemente il nome della proprietà che produceva il vino. L’uso di questo termine si doveva ovviamente al fatto che le aziende erano veri e propri castelli. Château, infatti, significa castello. Con il tempo, però, il significato originario è cambiato. Ora esso non indica per forza la presenza di un castello, bensì che il vino prodotto è ottenuto da uve coltivate, raccolte e vinificate esclusivamente nella proprietà e che rientrino tutte in una AOC, ossia che siano tutte uve che rispondano a una DOC di riferimento. In America, invece, i disciplinari di produzione sono molto diversi dai nostri e permettono che un vino sia etichettato come AVA, più o meno una specie di DOC americana, anche se non tutto il vino presente nella bottiglia è stato coltivato in una stessa zona geografica. Per intenderci, sarebbe come etichettare un vino come Barolo, quando il 25% dell’uva ivi presente è stata coltivata in un’altra regione italiana.

È abbastanza ovvio che il problema, che si pone la Francia, non è se l’azienda americana che utilizza questo nome produce o meno con uve esclusivamente nelle sue proprietà eccetera, bensì il rischio, già presente, di confondere il consumatore sulla provenienza del vino e di lucrare su questo equivoco, ovviamente cercato.

Questa volta, però, la questione non si presenta di facile soluzione per i francesi. Mentre con la questione Champagne vi era un motivo di richiamo territoriale che ne giustificava l’esclusività dell’uso, con il termine château ci si riferisce a una clausola presente nelle AOC francesi, che però indica un semplice vocabolo francese, che difficilmente potrà essere di esclusivo uso francese. Questo termine non indica nessuna zona territoriale, ma una clausola che riguarda i vini francesi. Sarà difficile infatti proibire l’importazione in Europa di vini americani per il semplice fatto che portino in etichetta il termine château, nonostante sia evidente il tentativo d’imitazione.

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