L’ipogeo di Calaforno: un sito che ha 7 mila anni e che deve essere fruibile a tutti. FOTO

E’ un unicum nel panorama degli iblei: situato al confine fra Monterosso e Giarratana, l’ipogeo di Calaforno è un tesoro dell’età del rame la cui complessità ha suscitato e suscita ancora oggi, il vivo interesse della comunità scientifica. La sua scoperta è avvenuta nel 1974 ad opera dell’archeologo Lorenzo Guzzardi e da allora non sono mancate perfino le contese geografiche, oltre al vivo interesse per gli studiosi di siti preistorici.

Venerdì scorso si è svolta presso l’auditorium comunale di Monterosso una conferenza per illustrare non solo l’importanza del sito, ma anche informare degli ultimi scavi e dei riliervi effettuati tramite l’analisi dell’ipogeo.

Tra i relatori, anche Tullio Serges, dirigente provinciale Servizio 15 per lo sviluppo rurale e territoriale; Antonino De Marco, sopraintendente ai beni culturali di Ragusa; Saverio Scerra e Annamaria Sammito, archeologi e funzionari alla Soprintendenza ai beni culturali di Ragusa; Pietro Militello, professore ordinario di archeologia ed antichità egee dell’Università degli Studi di Catania e gli archeologi Giuseppe Terranova e Dario Puglisi.
Presenti anche Salvatore Pagano, sindaco di Monterosso e quello di Giarratana, Bartolo Giaquinta.

E’ bene precisare, infatti, cheda un punto di vista amministrativo l’ipogeo appartiene a Monterosso, ma negli scorsi anni è stato il Comune di Giarratana ad attivare i fondi ex insicem per la valorizzazione del sito.

 

L’obiettivo è di portare a termine gli scavi e organizzare in maniera utile la fruizione del sito, stilando un protocollo d’intesa tra gli enti coinvolti.

L’archeologo e funzionario della soprintendenza, Saverio Scerra, ha raccontato di come sia stata scopera uno strigile in ferro rarissimo (in genere sono in bronzo) utile a ricostruire la storia dei metalli nel territorio. Annamaria Sammito, poi, ha approfondito il periodo preistorico, databile a circa 7000 anni fa, a cui appartiene l’ipogeo in questione.

L’ipogeo è composto da 35 camerette a pianta sub-circolare, unite tra loro, in uno sviluppo privo di schemi. Il sito inoltre presenta una complessa stratificazione che va dalla fase enolitica (il cui uso era di carattere funerario), alla fase classica (probabilmente utilizzato come santuario) al periodo islamico e normanno in cui probabilmente venivano svolti riti negromantici.

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