LE ORIGINI DEI COGNOMI NELLA PICCOLA PATRIA OVVERO NEL CAMPANILE

Per amor di patria. Mai come in questo caso si è voluto bene alla Patria (nello specifico la “piccola patria”, ossia il campanile, la nostra Ragusa) semplicemente non dicendo tutto quanto c’era da dire.

E così Giorgio Veninata, noto storico locale, venerdì sera ha entusiasmato il pubblico infreddolito della sala convegni del Palazzo Garofalo raccontando l’origine ed il significato – quando presente – di tantissimi cognomi iblei.

Nella conferenza sulla onomastica iblea, organizzata dal Cral della Banca Agricola Popolare di Ragusa (nel corso dell’ultimo anno il dopolavoro dei bancari si è confermato uno dei maggiori organizzatori di eventi culturali nel territorio) è stato facile e bello spiegare quali sono i cognomi cosiddetti “patronimici”, ovvero i tanti Di Stefano, Di Martino, Di Lorenzo, Di Pasquale (ma anche quei patronimici che tali non sembrano più dopo le tante trasformazioni, com’è il caso di Lissandrello, ovvero figlio di Alessandro) e ancor di più quei cognomi creati dalla natura circostante o dalla provenienza geografica – latu sensu – e quindi i Leone, Lupis o Lupo, Giglio, Campo, Sbezzi, Pluchino e Palombo o Palumbo, Avola, Calabrese, Puglisi o Arezzo, o ancora di più i cognomi che nascono dall’attività svolta dai componenti quella specifica famiglia, ossia i Bocchieri, Comitini, Ferrera o Ferrari, Iacono, Lo Monaco, Parrino e Lo Presti, difficile e delicata è stata la parte della sua relazione riguardo quei cognomi di chiara origine araba o ebraica.

Nulla di male né di particolare, ci mancherebbe. Ma per i Burrafato, Cabibbo, Amato, Azzara, Cassì, Cassisi, Ioppulo, Liuzzo, Sammito, Sciacca e Zacco, Scimone e Xiumè, apprendere di essere gli eredi di quegli israeliti che nel 1492 non vollero abbandonare la loro terra solo per il fatto di essere di diversa religione rispetto alla cattolica decidendo quindi di battezzarsi e rimanere, non è stato del tutto indifferente. Laddove Giorgio Veninata si è “trattenuto” è stato relativamente a quei cognomi che tradiscono, in maniera più o meno evidente, la loro origine “incerta”. Ma poi lo storico ha rassicurato tutti, dichiarando che questa smania del cognome, della discendenza e del significato è fatto recente, risalente ai primi dell’800. “Fino a quel momento – ha detto Veninata che, per inciso è la corruzione di Beninata, ovvero uno dei tanti cognomi augurali – non ci si faceva troppo caso. Nelle famiglie nobili il cognome si tramandava con lo stemma (che spesso era creato ad hoc nel momento in cui la famiglia assumeva il titolo nobiliare) e nelle famiglie del popolo il cognome era sovente sostituito, prima nella parlata e poi anche nei documenti, dal soprannome, la cosiddetta “nciuria”. Nella città di Ragusa il caso più famoso di cognome sostituito dal soprannome – ha riferito lo storico – è Leggio. Questo era infatti un soprannome, di evidente significato, cioè leggero. Ed era la nciuria della famiglia Piluso. In un documento che ho trovato nell’archivio comunale, databile alla metà del ‘600, è emblematico un atto formale nel quale si può leggere: Jospeh Piluso, poi una barra a cancellare parzialmente il cognome, evidentemente ritenuto poco elegante, e la scritta in bella evidenza “Leggio”.

Altrettanto interessante la relazione di Carlo Blangiforti, linguista che ha focalizzato la sua relazione sui nomi propri dei siciliani e delle siciliane di questa parte dell’Isola.

“Un preciso momento storico – ha riferito Blangiforti – ha segnato la storia dei nomi propri dei siciliani. Ed è stato il 1603, quando Papa Urbano volle regolarizzare la scelta dei santi poatroni delle città. Fino a quel momento, infatti, ogni città aveva più santi patroni, anche quattro o cinque, come a Palermo. Papa Urbano decise di obbligare le municipalità ad avere un solo santo patrono. A quel punto la scelta dei nomi divenne molto più ridotta per i bambini siciliani. E se fino a quel punto erano tantissime le Diamante, Perla, Astilia, Domitilla, Sofonisba, nell’arco di un paio di generazioni il nome femminile più diffuso divenne Maria e, al limite, le declinazioni dello stesso nome tratte dalle caratteristiche delle Madonne venerate nei diversi paesi. E quindi – continua Blangiforti – i vari Catena, Crocifissa, Letteria. Ma studiando i nomi propri dei ragusani di oggi, non mancano le sorprese. Se infatti si sono molto diffusi nomi non provenienti dalla nostra tradizione, rimangono pur sempre la gran parte, circa il 75%, i nomi di origine religiosa. E in Sicilia, anche nel Val di Noto, i nomi propri maschili più diffusi sono tuttora, esattamente come nel resto del Paese, Giuseppe, Antonio e Giovanni (che, per la cronaca, è il nome proprio più diffuso nel mondo). Con i recenti flussi migratori – ha poi continuato Blangiforti – sono comparsi anche nomi stranieri. E con uno studio empirico condotto da me alla scuola Pascoli di Ragusa, su centodieci bambini, trentatre hanno nomi stranieri, il più delle volte arabi o dell’Europa dell’Est. I cinesi, per evidenti motivi, mantengono il loro nome ma si fanno chiamare con pseudonimi dal resto della popolazione locale.”

La conferenza – moderata dal giornalista Saro Distefano – è stata chiusa da Francesco Barrera, storico pozzallese che ha spiegato i metodi e i giusti percorsi per chi volesse avventurarsi, perché di una avventura si tratta, nella ricostruzione della storia della propria famiglia (lui lo ha fatto per tutte le famiglie pozzallesi). E quindi le ricerche prima di tutto nella propria famiglia, raccogliendo i ricordi dei parenti anziani, le foto e se possibile i documenti dove sono leggibili i nomi e le date di nascita e matrimonio dei propri avi. E poi la grande avventura delle ricerche negli archivi parrocchiali e municipali. Non a tutti è dato risalire nei secoli colla storia della propria famiglia. In tanti, molti di più di quanto si possa immaginare, chiudono il capitolo dopo sole un paio di generazioni con un inappellabile “figlio di NN”.

 

 

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