È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
L’ARCHEOLOGIA CHE VORREI…
12 Gen 2017 08:01
In questi giorni ricorre il 324° anniversario del devastante terremoto dell’11 gennaio 1693. In questi stessi giorni, la Città di Ragusa è scossa dalle polemiche sul Museo Archeologico Ibleo, messo su ormai mezzo secolo fa da Antonino Di Vita, Filippo Garofalo e Cesare Zipelli, ma ormai (quasi) dimenticato, solo l’occasione per farne polemica politica è riuscita a riesumarne il ricordo.
Terremoto & Archeologia: un connubio fondamentale per la nostra terra poiché i sismi (non solo quello del 1693 che fu “u terremotu ranni”: già il 10 dicembre 1542 e, prima ancora, il 4 febbraio 1169, due altri eventi di magnitudo momento compresa tra 6 e 7 avevano provocato morte e devastazione), più del tempo e delle guerre hanno stravolto ed obliterato le testimonianze del passato, regalandoci un presente in cui l’arte tardo barocca domina l’immaginario collettivo, grazie all’appariscenza garbatamente opulenta delle sue architetture, esaltata dai colori della nostra pietra riflessi dalla luce cristallina degli Iblei.
All’Archeologia non rimane che un ruolo secondario, in un territorio stretto fra realtà in cui sussistono mete archeologiche di fama mondiale che quasi paradossalmente si nutrono pure delle nostre testimonianze (per motivi storici legati alla giurisdizione delle soprintendenze, il Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa custodisce alcuni fra i reperti più significativi rinvenuti nel ragusano!)…
Eppure, persino il Commissario Montalbano non ha dimenticato di mostrare al mondo una delle nostre testimonianze archeologiche più significative, e lo ha fatto ne “Il Cane di Terracotta” – forse l’episodio più intenso ed apprezzato di sempre – quella Grotta delle Trabacche che è considerata uno degli esempi più fascinosi dell’architettura cimiteriale ipogea tipica degli Iblei.
Eppure, gli archivi pullulano di testimonianze utili (si pensi agli storici risalenti persino al periodo precedente il terremoto che ci hanno tramandato un’idea di quello che era il paesaggio prima del sisma, alle incisioni del Houël, alle ricerche dei pionieri dell’Archeologia!), e il territorio non difetta mica di evidenze già note, ma quanti sanno della quaestio sulle varie Hybla citate dagli storici antichi, dell’importanza di Contrada Rito, delle storie legate all’antichità di Scicli, delle persecuzioni ai danni delle genti di fede ebraica e musulmana, dell’accesa diàtriba che per secoli (sic!) animò il dibattito sull’individuazione del sito della greca Kasmenai, della ubicazione di Giarratana e di Noto prima del 1693 e di tanto, tantissimo altro ancora!?
Forse, il vero problema è che manca l’Archeologia che vorrei. Se si eccettuano alcune felici iniziative di carattere divulgativo che però non sempre riescono a varcare la barriera dei soliti appassionati e degli addetti ai lavori, quel che vedo è una disciplina costretta ad agire in uno stato di costante emergenza; povera di risorse economiche ed umane (in realtà, queste ultime ci sarebbero eccome, ma le opportunità di inserimento nel settore sono prossime allo zero!); afflitta da una concezione dispendiosa ed inefficace della tutela perché gli strumenti normativi sono variamente e talora irrazionalmente interpretati; lontana da una cognizione realistica e virtuosa dei concetti di promozione e valorizzazione. E in questo quadro, la ricerca è quasi pura utopia.
Riscoprire, Tutelare, Promuovere e Valorizzare il passato per vivere il presente e costruire il futuro, rifuggendo dalla mera (e polverosa!) tentazione di mettere insieme dei reperti da immagazzinare e dimenticare nelle teche e nei sotterranei di qualche museo: è questa l’Archeologia che vorrei. Può sembrare banale, ma forse è proprio l’approccio che manca…
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