La rovina di Ragusa? Ormai mancano gli influencer

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

C’era una volta l’influencer. Con la M maiuscola. Il Maestro di idee e suggestioni. Che dettava alla lettera l’elevazione di una città. Esempi camminanti, domande e conversazioni tra i vicoli barocchi e i labirinti di una comunità ideale, eletti di normalità umana, accessibili e tuttavia alti, dotati di puro karisma. Capaci di ispirare potentemente le biografie più acerbe sui temi della politica, della filosofia, della cultura, dell’esistenza. A volte prof, altrove padri spirituali, a volte savi prestati al non mondo savio dell’impegno civile e politico. Personaggi in cerca di nuovi autori per scrivere il gran testo delle imprese a venire. Ne intravedi tracce di Dna nelle generazioni dei cinquantenni di oggi. Nel lessico che usano a volte loro malgrado. Nel galateo vintage della loro vitalità residuale. 

Nello stile dei loro pensieri, pose, mosse, slanci verso l’incomprensibile, oggi, nel 2022, incomprensibile. Io stesso devo molto alla mia maestra, alla professoressa di Italiano delle medie, all’insegnante di Lettere al Ginnasio. Alle loro parole entusiaste (e immeritate forse) nei miei confronti. Devo loro uno spicchio della mia autostima e della mia follia creativa. Anche questa rubrica deve loro qualcosa. Come la ribellione feroce e inesorabile di cui fui capace quando mandai al diavolo tanti docenti del Liceo e mi iscrissi in Psicologia a soli sedici anni. A modo loro, quelle tre donne sono state influencer per me e per un manipolo di pochi altri. Influencer a dimensione ridotta e però sublime. 

Gli influencer di cui oggi dico hanno invece avuto un palcoscenico più vasto e virale. In città. Nei decenni. Mi piace ricordare una presenza policroma, eclettica, amata e stimata, ora in particolare in un’occasione speciale. Un intellettuale, quando la parola “intellettuale” non era trash. Filosofo, sociologo, esponente della Sinistra Cattolica, docente, uomo di grande umanità e mitezza e fascino, ha assunto e rivestito un ruolo nevralgico nel paesaggio ibleo. Ci ha lasciati lo scorso luglio. Ferreo socialista bianco e convinto cristiano, aveva trovato, grazie ad una sottile abilità critica, una sincresi null’affatto scontata tra i suoi distinti approcci e ruoli, mantenendo la fedeltà ai suoi ideali e valori etici ed intellettuali. 
Due eventi lo ricordano. Domani, 16 dicembre, alle ore 17.30, al Centro Studi “Feliciano Rossitto” l’incontro avrà questo titolo evocativo: “Luciano Nicastro: eredità culturale, civile e umana, nella ricorrenza degli 80 anni dalla nascita”. 

Verrà rappresentato il Luciano Nicastro federalista europeo ante-litteram, l’impegno di Nicastro al servizio della cultura e della politica del bene comune, la figura di Nicastro filosofo e sociologo, studioso esperto e appassionato di Mounier. E infine un risvolto più personale e intimo di Nicastro genitore con l’intervento della figlia Lucia intesa a restituire un profilo più riservato. Nel cuore del convegno sarà presentata la riedizione di “La rivoluzione di Mounier” e verrà proiettato il video “La parola a Luciano Nicastro e a chi lo ha conosciuto”.
Nel secondo incontro, in programma sabato 17 dicembre, a partire dalle ore 9.00, proprio al Liceo Scientifico “Enrico Fermi”, alcuni suoi alunni offriranno alcune testimonianze. Al Liceo, Nicastro ha insegnato per oltre 30 anni e, da uomo e pedagogista, ha lasciato un seme indelebile nei suoi alunni, trasmettendo nozioni teoriche e lezioni di vita, motivando e sostenendo, da fine psicologo, credendo in ogni allievo e riconoscendo innanzitutto la persona prima dell’alunno, nella sua personalissima mission di sensibilizzare e alimentare un sentimento di responsabilità individuale, tramite una didattica sua personale di Orizzonte. Ben oltre la coreografia vanesia di Tik Tok. O la fotografia smunta di Instagram.

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