La ristorazione della provincia di Ragusa ha chiuso l’anno con il 40% circa del fatturato annuo in meno

Il 2020, l’annus horribilis della ristorazione iblea così come nel resto d’Italia, si è chiuso nel peggiore dei modi: circa il 40% dell’intero fatturato annuo del settore andato in fumo. Per questo la Fipe–Confcommercio, Federazione italiana dei pubblici esercizi, insieme alle principali sigle sindacali del commercio e del turismo, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, chiede l’elaborazione di un piano organico di interventi per le imprese e i lavoratori dei pubblici esercizi, anche con l’obiettivo di programmare una riapertura in sicurezza dei locali.

“Il punto di partenza della discussione – sottolinea il presidente provinciale Confcommercio Ragusa, Gianluca Manenti – è costituito proprio dai conti di fine anno elaborati dall’Ufficio Studi di Fipe che hanno messo in luce come il colpo più duro al settore sia arrivato dalle chiusure di novembre e dicembre. Storicamente, nel periodo delle festività dicembrine per una parte rilevante dei locali si arriva a generare fino al 20% del fatturato annuo: nel quarto trimestre 2020, invece, le perdite registrate hanno superato qualche milione di euro, con un meno 57,1% dei ricavi solo in provincia di Ragusa, peggio ancora di quello che era successo nel secondo trimestre, quello del primo lockdown.

Questa fine anno ha di fatto vanificato gli sforzi estivi che pure avevano portato ad un contenimento delle perdite”. La ristorazione sembra non avere pace: ogni volta che si avvicina la scadenza delle misure restrittive, ne vengono annunciate di nuove e si riparte da zero. “Così anche il primo provvedimento del 2021 – spiega ancora Manenti – ha disposto la chiusura di bar e ristoranti nei fine settimana, lasciando gli imprenditori nell’incertezza da metà gennaio in poi, con i danni e le distorsioni che ne conseguono. Ecco perché serve dare prospettive diverse, più certe, ma anche più motivanti, ad un settore che ha pagato un prezzo altissimo, ma soprattutto che ha già dimostrato di poter lavorare in totale sicurezza.

Non è più accettabile che i pubblici esercizi, insieme a pochi altri settori, siano i soli a farsi carico dell’azione di contrasto alla pandemia, richiesti di un sacrificio sociale non giustificato dai dati e non accompagnato da adeguate e proporzionate misure compensative. È indubbio che per uscire da questa crisi ci sia bisogno del contributo di tutti, ma proprio per questo non si può imputare sulle spalle sempre delle stesse categorie il peso del contenimento della pandemia, affossando nel frattempo un settore strategico per l’economia del Paese e per la vita quotidiana delle persone”.

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