La ragione per cui non parlo di Berlusconi (ma di cucina)

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Ho scelto di non dedicare l’articolo di questa settimana al super-topic psicologico, sociale, antropologico, politico ed esistenziale di questi tre giorni (Silvio Berlusconi, la vita, la morte, l’eredità, il lutto nazionale, l’incendio su facebook …). Perché no? Non è un tema abbastanza divisivo.

Avevo voglia di un argomento invece veramente incendiario. L’ho trovato: l’alta cucina.
Esistono innumerevoli modi di accostarsi all’alta cucina. Non fate come me.
Diciamola tutta: io sono un caprone. La cosa più sofisticata che avevo delibato in vita mia sino a ieri era stata la pepata di cozze innaffiata in un bianco di Francofonte.
Morirò zotico. Non capirò mai la cucina minimalista francese o la gastronomia verticale italiana.

Avete presente? Quei piatti immensi, bianchi come l’oceano con al centro uno sputino bavoso (dalle coreografie di mille colori e cremiciattoli sparsi), che potresti tranquillamente inalare già soltanto tirando di naso in un colpo solo e con una sola narice, piuttosto che usare ipocritamente la forchettina vintage.
Quando mi consigliarono di assaggiare una fettuccina su letto di assenzio, non pensavo intendessero letteralmente una fettuccina. L’assenzio poi, se c’era, io non l’ho riconosciuto. L’avrò respirato a mia insaputa.
Per una buona mezz’ora ti senti preso per il cofano, poi realizzi che tutti intorno a te fanno maledettamente sul serio, e scopri persino in tuo cugino un insospettabile intenditore di storione al tartufino azzurro. Quello storione di tuo cugino, che ora ti umilia e che fino a ieri sbrodolava insieme a te nello secchio di ricotta.

Quando mi chiese di passargli la cremina di ciliegie, perfetta per le gocce di brasato, ripensai a come, di norma, azzannasse il pomodorino secco in totale autonomia, lanciandosi come un rapace da un estremo all’altro del tavolo di legno. Sino a ieri.
“Meno, ma ormai mi parli francese? Sono senza parole.”
La cucina celeste trasforma le persone.

A dirla tutta, consapevole della gran cena che mi attendeva la sera, a pranzo mi ero tenuto leggerino, concedendomi la classica fetta di anguria e le due ciliegine. Stop.
Mai l’avessi fatto! Arrivai al banchetto piuttosto carico. Ma alle 24.00 della notte, quando mi servirono con indubitabile charme la polpettina di anatra all’arancia e io osai confessare pubblicamente di non aver mai visto prima un pisellino arancione in natura, suscitai lo sdegno universale dei convitati. E qualche zoccolata alla tibia, sotto il tavolo.
Ecco, dopo quattro portate come queste, realizzi che la cucina novella va benissimo se ti convinci di essere stato invitato ad un dopocena. È una questione di autoipnosi:
“È solo uno stuzzichino per accompagnare il sonno. È solo uno stuzzichino …”
Di fronte a certi grumi così elaborati, eleganti e soavi financo nei nomi (che preludono a una digestione notturna non meno che importante), ti domandi altresì come sia possibile concentrare una tale pirotecnica boiata in uno spaziotempo così microscopico. Sono dilemmi da fisica quantistica.

Dopo quattro portate come queste, dubiti che possano portarti il conto. E non credi neanche a quanti zeri possano trovare spazio in un briciolo di carta. Bestemmi dentro in un personalissimo francese scolastico. Ma sei tu il troglodita. Lo sai. Tu ti commuovi solo davanti alla provoletta del massaro che ti gocciola nell’anima. Tu ti meravigli solo davanti al pane olio e origano fatto in casa: l’anciminà, in francese.
Te lo dice anche lo storione di tuo cugino.
Sei un primate dell’Era Zotica, il quale pensa ancora che al ristorante vip si vada per mangiare.

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