LA PROVINCIA CHIUDE (FORSE) MA I POLITICI NON RINUNCIANO ALLE BASSEZZE

Tutte molto interessanti le varie iniziative finalizzate a celebrare l’ottantacinquesimo compleanno della provincia di Ragusa. Convegni politici, simposi culturali, raduni automotociclistici, varie ed eventuali per celebrare un importante compleanno che però, sappiamo bene noi sanno tutti, potrebbe anche essere l’ultimo.

È notoria la volontà politica “centrale” di cassare, eliminare, far scomparire insomma, l’ente locale “Provincia”. Chi scrive potrebbe fornire una nutrita lista di motivi per i quali giusto sarebbe mantenere integro l’istituto della Provincia regionale, specie in Sicilia. E a maggior ragione se la provincia in questione è quella di Ragusa, e non perché chi scrive (seppure senza firma), in quanto monterossano si reputa ibleo e facente parte della attuale provincia, bensì per l’evidente motivazione storica (e poi anche sociale, economica, culturale) di sentirsi parte di una provincia che altro non è se non una diretta erede, una sorta di nipotina, della antica, anzi antichissima Contea di Ragusa (1091) prima e di Modica poi (1194). Una unità territoriale che è diventata Provincia “solo” nel 1926 ereditando però cotanta storia, anzi, Storia.

D’accodo quindi con chi, Franco Antoci in testa, ritiene di dover contestare la decisione di sopprimere l’ente.

Ma è vero anche che, specie negli ultimi anni, l’ente provincia altro non è stato se non cimitero d’elefanti (politicamente parlando) e trampolino di lancio di giovani rampanti, pericolosissimi, ambiziosi in sommo grado, della serie tutto e subito. Ma tanto non basterebbe a giustificare la soppressione dell’ente. Soppressione che verrebbe invece bellamente giustificata se solo il grande pubblico (quello di RagusaOggi è bastevolmente ampio, grazie anche agli ultimi exploit del sito diretto da Franco Portelli) venisse a sapere di qualche simpatico retroscena della organizzazione del citato compleanno. Trascurando infatti grigi vassalli e squallidi portaborse, il bel palazzo di Viale del Fante è popolato anche da ignoranti, crassamente tali, inseriti sia a livello politico-amministrativo che burocratico-amministrativo. Tra di loro, nelle ultime settimane antecedenti l’avvio delle iniziative in parola, alcuni si sono accaniti contro alcuni altri. Per uscire di metafora, ma stando sempre ben attenti a non fare nomi per carità di patria, pare proprio che nella organizzazione di un convegno (poi non realizzato) uno studioso locale (forse uno storico, forse di una parte della provincia che guarda ab occasu) si sia impuntato con i politici di suo riferimento (che non saranno, ca va sans dire, allievi di Russell, nel senso di Bertrand, non di Ken) per impedire ad un altro studioso locale (forse anche lui storico, forse della parte della provincia che guarda ab ortu solis) di intervenire, di parlare.

Tutti sappiamo (almeno lo so io, che per lavoro frequento da oltre cinque lustri le aule ma soprattutto le stanze delle facoltà universitarie) che gli uomini piccoli sono tali anche se vestiti di ermellino. Ma in tutta onestà, e per quanta esperienza abbiano accumulato i miei neuroni onusti d’anni, mai m’era capitato di incontrare grandi e famosi uomini di cultura (quantomeno a livello locale) assumere atteggiamenti da piccini, da scolaretti che litigano per la penna colorata o l’attenzione della biondina che tanto il bacio non lo darà a nessuno per poi ritrovarsi zitella a quaranta anni.

Che pena, che pena infinita. La Provincia potrà anche rimanere com’è e dov’è, ma con certi dirigenti, certi politici, e certi intellettuali a costoro organici rimarrà sempre quel tanfo di chiuso, di piccolo, di provinciale nella accezione negativa del termine, altro che Goffredo e Manfredi, Bernat e Anna. Questi sono nani, che pure fanno l’ombra lunga, ma solo perché si è al tramonto. 

 

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