INTERVISTA A FRANCO SAVIO

Signor Savio, descriva l’ambito in cui lavora nell’informatica.

Sono responsabile dei progetti di formazione online in modalità e-learning del personale di Poste Italiane nell’area NordOvest (Piemonte-Liguria-Valled’Aosta). Non è un’attività prettamente tecnico-informatica, anche se si avvale delle competenze del Polo Tecnologico aziendale, con il quale peraltro ho collaborato per alcuni anni assumendo le conoscenze che mi sono utili per coordinare il lavoro attuale. I processi di formazione online su vasta scala necessitano, infatti, oltre ad una complessa fase organizzativa, di monitoraggio e di controllo, anche del coordinamento delle dotazioni informatiche sulle quali il personale è chiamato a seguire i corsi in autoformazione.

Insegna anche?

Attualmente sono chiamato a tenere docenze solo sporadicamente in occasione di formazione/aggiornamenti dei collaboratori sulla piattaforma aziendale di gestione della formazione. In passato ho effettuato lunghi periodi di docenza in occasione del passaggio dell’azienda alle nuove tecnologie che sono attualmente in uso negli Uffici Postali.

E in particolare?

Queste docenze comprendevano l’addestramento tecnico ma anche azioni motivazionali rivolte a dipendenti che transitavano a nuovi strumenti di lavoro. Da molti anni inoltre tengo regolari sessioni di formazione e conferenze in aula virtuale, utilizzando collegamenti online con collaboratori sparsi sul territorio, collegati attraverso una rete di computer dotati di strumenti multimediali (webcam/audio/microfono), gestiti da una piattaforma aziendale di comunicazioni di cui sono uno degli amministratori nazionali.

Cosa ne pensa dell’informatica a  scuola?

Intanto dobbiamo chiarire cosa intendiamo per “informatica” a scuola. Già da tempo le scuole si sono dotate di aule informatiche dove i ragazzi possono apprendere ed utilizzare diverse applicazioni. Successivamente sono state implementate in molte classi le cosiddette “lavagne elettroniche” (LIM) ad uso dei docenti più capaci di maneggiare le nuove tecnologie. Questo strumento consente di presentare alla classe un’offerta più ricca di materiale e documentazione, apre all’interattività, al crossing tra strumenti tradizionali e informatici, permette di inserire contributi online e di effettuare presentazioni personalizzate di elevato contenuto ed interesse. Ultimamente si stanno verificando diverse sperimentazioni che prevedono l’utilizzo dei tablet da parte degli studenti. Questa nuova metodologia, assolutamente rivoluzionaria, stravolge completamente le metodologie didattiche, prefigura l’abolizione dei libri ed in generale modifica radicalmente l’approccio fisico e mentale dello studente agli strumenti ed alle logiche di formazione.

Ma a Suo parere è positivo tutto questo?

Devo ammettere che questa innovazione mi suscita considerazioni contraddittorie. Da un lato accolgo positivamente questa innovazione, che allinea la scuola agli strumenti che già i ragazzi usano normalmente nella vita quotidiana, e permette di attingere ad informazioni, immagini, video assolutamente impensabili fino a ieri. Inoltre dà modo alla scuola di riprendere in mano un percorso educativo che aveva un po’ perso negli ultimi anni.

Sostanzialmente ha la possibilità di reindirizzare a forme produttive e organizzate le sterminate informazioni che attualmente sono nella disponibilità dei ragazzi grazie ad internet, e di educarli ad un utilizzo consapevole delle tecnologie (tablet, smartphone, computer) che i ragazzi stessi spesso utilizzano in maniera disordinata e confusa.

D’altro canto mi pongo diversi dubbi che, allo stato attuale restano irrisolti.

Quali?

Innanzitutto mi pare che manchi completamente da parte della scuola (intesa come organizzazione del sapere di una comunità nei confronti dei propri giovani) il governo dei processi formativi e delle metodologie didattiche veicolate da questi nuovi strumenti di lavoro e di studio. Sostanzialmente il tutto è demandato al fornitore delle tecnologie, che non solo (doverosamente) aggiorna i docenti sulle funzionalità degli strumenti, ma si assume anche la responsabilità di fornire loro la formazione sulle metodologie, gli obiettivi didattici, ecc. Questo fatto mi lascia profondamente perplesso: come se il concessionario di automobili, oltre a fornirmi il libretto di istruzioni del mezzo ed eventualmente alcune lezioni di guida, si prefiggesse anche il compito di indicarmi le mete di destinazione dei miei viaggi.

Vedo in questo un notevole rischio di contaminazione commerciale. Teniamo presente infatti che i tablet di per sé sono inerti, devono essere riempiti di contenuti fruibili (libri digitali, applicazioni, ecc.) a spese della famiglia. Quindi si aprono sterminate praterie di guadagno per chi commercializza questi prodotti ed i loro contenuti.

Vero…

Altro argomento controverso è la formazione dei docenti, il loro approccio alle nuove metodologie, la capacità di governarle nei confronti di una popolazione giovanile molto più esperta di loro. La domanda è: stiamo innovando veramente, o stiamo affannosamente inseguendo l’innovazione che ci ha sorpassato da anni? Come rendiamo esperta una guida che allo stato attuale possiede meno conoscenze di chi dovrebbe guidare?

Bella domanda!

Ci sono poi considerazioni di ordine psicologico, attitudinale e anche medico.

E’ corretto inchiodare per ore ad uno schermo luminoso dei ragazzi che già trascorrono giorni e notti collegati a video?

E la scrittura? E il rapporto con gli oggetti fisici (carta, penne, ecc.)? Che modificazioni introdurranno nelle menti di questi giovani? In fondo le tecnologie introducono delle mimesi subdole: per rendere “amichevoli” le lavagne virtuali le simulano in gesso, e le scrivanie virtuali assomigliano a quelle tradizionali, e i libri virtuali si possono sottolineare, appuntare, scarabocchiare come quelli veri.

Ma questo non rappresenta il “nuovo”. E’ la mimesi del vecchio tradotto su altre piattaforme. In questo senso la tecnologia non cambia, ma sostituisce, e và ad aggiungere un altro anello alla catena delle complicazioni.

Infatti, viene a mancare l’azione fisica dello scrivere ad esempio, e di conseguenza di fissare a memoria…

Apparentemente intuitiva e “friendly”, in realtà pone nuovi problemi: aggiornamenti dei contenuti, funzionalità dei contenitori, sostituzione dell’elettronica, dei supporti, difficoltà per studenti ed insegnanti a mantenersi aggiornati. In un mondo tecnologico che ogni sei mesi rottama se stesso e si ripropone in nuove forme più evolute, che rende inutilizzabili i vecchi supporti (ricordate  nastri magnetici, i floppy disk, e poi i cd, e ora il cloud), quanto resteranno attuali e utilizzabili i supporti attuali?

Vero, e i costi che questo comporta non sono indifferenti.

Inoltre dobbiamo già prevedere i nuovi “dislessici informatici”. E’ una pia illusione (e forse una mistificazione) parlare di “nativi digitali” che padroneggiano abilmente le nuove tecnologie digitali ed intuitive. In realtà assistiamo frequentemente all’evolversi di una popolazione di scimmie ammaestrate, che navigano ripetendo sequenze automatiche tipiche del videogame. Come tratteremo i ragazzi che non riusciranno ad integrarsi in questo mondo?

Un ultima considerazione sul “sapere”. Fino a ieri l’uomo accumulava il sapere dentro di sé. Era un sapere da “riccio”. Oggi prevale il sapere da “volpe”, che sa dove trovare il cibo, e lo và a cercare qua e là. Fuori di metafora: il sapere attuale è contenuto in archivi informatici remoti (es. wikipedia), e non siamo più invogliati a memorizzarlo, visto che in ogni momento possiamo estrarre l’informazione voluta.

Infatti, ho notato.

Ma chi detiene questo nuovo sapere? Attraverso quali strumenti critici saremo capaci di selezionare, filtrare ed elaborare la massa di informazioni a nostra disposizione?

Questa è la sfida della scuola, da un lato necessaria, dall’altro pericolosa se non vigorosamente governata da figure dotate di una visione corretta e di ampio respiro.

Dalla trasmissione della conoscenza orale che anticamente era in uso, all’uso della parola scritta e per concludere all’ultimo passaggio digitale, quale apporto c’è stato per la crescita dell’uomo?

Ultimamente sono assalito da una marea di dubbi sulle prospettive che questa tecnologia può offrire al genere umano, ed in particolare alla sua parte più debole ed influenzabile, e cioè i ragazzi. In buona sostanza, sono passato da una fase di adesione incondizionata (internet = il sol dell’avvenire) ad un’altra decisamente più critica. Ultimamente mi pongo molte domande, e gliene socializzo alcune.

Prego

1)    La conoscenza è “sapere” o “essere consapevoli”?

Innanzitutto occorre fissare alcuni punti: internet, computer, tablet e quant’altra parafernalia, sono STRUMENTI di supporto alla formazione, NON i suoi rappresentanti legali. In questo senso è pura illusione credere che l’ingresso di queste tecnologie nel mondo della scuola rappresenti di per sé un miglioramento, e nemmeno una facilitazione all’apprendimento.

Sapere o essere consapevoli? Aumentare le possibilità del conoscere, l’interattività, il “network”, non rappresentano alcun valore aggiunto se non vengono rispettate alcune regole fondamentali, sulle quali sono opportune diverse riflessioni.

2) E’ necessaria una continuità didattica per garantire uniformità nell’apprendimento mediato dalle nuove tecnologie (…”perché dopo niente è più lo stesso…”) Passare dalla metodologia di insegnamento “analogica” a quella “digitale” comporta l’assunzione di grande responsabilità e, diciamocelo pure, di qualche rischio. Cambiare gli strumenti di apprendimento, in questo caso, presume lo stravolgimento delle metodologie didattiche. Se lo facciamo (ammesso che ci rendiamo capaci, vedi punto 1) non possiamo poi tornare indietro. Con un’ardita metafora, possiamo immaginare di lanciare i ragazzi nello spazio con un’astronave, e poi, giunti nei pressi della luna, dire loro “Capolinea, si scende. Siete pregati di proseguire in bicicletta”.

 

Ci troviamo di fronte a tre possibilità.

 

a) facciamo una sperimentazione digitale in itinere e poi torniamo in analogico

b) iniziamo e poi proseguiamo

c) digitalizziamo “ad integrare” e “a retrocedere”

 

Mi spiego meglio. Il caso a) prevede una fase sperimentale, che però poi non trova riscontro nella prosecuzione degli studi (ad esempio, digitalizziamo una media, e poi nel liceo si torna ai libri). Soluzione molto rischiosa: abbiamo casistiche in merito? Oppure attendiamo i primi morti e feriti per aggiustare il tiro? Il caso b) prevede una didattica digitalizzata che poi prosegue per tutto il cursus studiorum. E’ una soluzione che comporta meno rischi. A patto, però, che il sistema-scuola sappia dialogare ed integrarsi. Messo com’e’ oggi mi pare una tenuissima speranza. Il caso c) è quello che io preferirei. Secondo me sarebbe opportuno che l’approccio al digitale avvenisse in maniera progressiva. Inizialmente, nella scuola media, come supporto integrativo all’insegnamento tradizionale. Successivamente, si potrebbe immaginare una progressiva digitalizzazione dei contenuti e delle metodologie. Le novità avrebbero un impatto più gestibile se applicate su menti più mature e con maggiori capacità di mediazione. Questa fase andrebbe mantenuta per tutto il tempo necessario a verificare l’effettiva ricaduta formativa, in termini di qualità e sostenibilità.

Ricordiamoci sempre che le rivoluzioni chiedono in tributo molte teste…cerchiamo di limitarne il numero. Non vorremmo mai che gli oggetti dei nostri esperimenti si ritrovassero, a metà del guado, a dover affrontare una crisi del nuovo sistema, o una sua rimodulazione, novelle cavie di farmaci salvavita sui quali si testano gli effetti collaterali prima di decidere se proseguire, interrompere o modificarne la formulazione chimica.

3) Tutto il sistema deve diventare esperto (ma cambieranno davvero i fondamenti?) Ci vorrà tempo e molti errori. Io mi chiedo: abbiamo un sistema-scuola attualmente così padrone delle metodologie didattiche da riuscire a transitarle in digitale? Siamo già capaci di affrontare le nuove sfide che ci ha proposto l’integrazione, il disagio dei ragazzi e delle loro famiglie, i nuovi modelli proposti dalla crisi pluriennale della società italiana? Abbiamo bisogno di nuovi strumenti o di supporti umani? Di tecnologie o di psicologi, coach, mentor? Vogliamo davvero prefigurarci il digitale come l’Eden della formazione, o piuttosto fare i conti con la povertà dei nostri modelli strutturali di base? Perché altrimenti transiteremo QUESTI modelli nel “nuovo mondo”, e lo renderemo solo più schizofrenico. A margine di tutto ciò osservo con curiosità che, in una società dove le persone stanno rinunciando progressivamente persino alla qualità degli alimenti, le uniche merci in costante crescita di profitti sono le tecnologie.

Iphone, Ipad, Ipod…attengono al campo della magia, mi ricordano “La terra dei morti viventi” di Romero, dove zombi assetati di sangue venivano ipnotizzati dal lancio di fuochi artificiali, che li ammansivano e li chetavano con le loro luminescenze colorate. Tutto questo per dire che sono prevalentemente favorevole all’introduzione delle tecnologie nella scuola, ma a patto che non siano lo specchietto per le allodole che fa volgere lo sguardo lontano dalle sfide reali che dobbiamo ancora affrontare… … e di allodole riempiamo ogni giorno le nostre classi…

E’ stato estremamente interessante ed esaustivo. Vuole dire una frase per i lettori di RagusaOggi riferito  in particolare all’argomento dell’intervista?….

L’uomo ha calcolato distanze siderali senza computer, e la stele di Rosetta ci racconta di antiche civiltà a millenni di distanza. Saprà farlo anche un tablet spento?

 

di Adelina Valcanover

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it