“Delitto e castigo”, liceali ‘dietro le sbarre’ per riflettere su pena e Giustizia

Al centro il ‘sistema Giustizia’, la percezione che i ragazzi ne hanno, il valore dell’esperienza di chi la amministra. Così, ottanta ragazzi del Liceo Carducci di Comiso tra i 16 e i 19 anni sono stati coinvolti nel progetto “Delitto e castigo”, un Pcto – percorso per il conseguimento di competenze trasversali per lo sviluppo della capacità di orientarsi nella vita personale, e nella realtà sociale e culturale, come previsto dalle linee guida del Ministero dell’Istruzione e del Merito – che ha previsto un ciclo di sei lezioni, culminate nell’ultimo incontro che si è tenuto in un’aula del Tribunale di Ragusa. Tutte le componenti processuali sono state rappresentate. I ragazzi si sono confrontati nell’ultima ‘lezione’ con il presidente del Tribunale di Ragusa, Paolo Pitarresi, il giudice della sezione penale, Andrea Reale, il sostituto procuratore Monica Monego, la Camera penale degli Iblei rappresentata dal presidente Nunzio Citrella, il vicepresidente Michele Sbezzi e gli avvocati Italo Alia e Nicole Fiorenza. “Le lezioni sono state organizzate dalla Camera penale e sono state indirizzate ad alunni del liceo classico e scientifico per favorire la conoscenza del ‘sistema Giustizia’ e far capire ai ragazzi ciò che sta alla base di quello che facciamo ogni giorno; la funzione anche sociale dell’avvocato, della pena e dei principi di diritto, cercando di dare loro strumenti per capire, riflettere e interpretare anche ciò che leggono e ascoltano quotidianamente dai mass media” dice Nunzio Citrella.

I ragazzi ‘chiusi’ in cella

“Ci interessava fare capire ai ragazzi, quanto sia pesante l’isolamento dentro una cella, la privazione della libertà. Così, tutti i ragazzi coinvolti e su base volontaria, sono stati all’interno di una cella per detenuti in Tribunale, per un brevissimo periodo di tempo, 5 minuti. La cella, che è quella dove vengono posti i detenuti in attesa dell’udienza, a differenza di una cella ‘normale’ ha una maniglia, non è stata naturalmente chiusa a chiave e i ragazzi potevano aprirla in qualunque momento; potevano abbassare la maniglia e uscire, cosa che ovviamente i detenuti non possono fare”.

Un ambiente buio, spoglio, luce artificiale e tappezzato da scritte di ogni genere. Spiccano i nomi dei detenuti che sono transitati da lì, molti stranieri di cui ancora a distanza di 10 anni dal loro passaggio, si legge il nome e in qualche caso si percepisce anche la paura, un segno per non essere dimenticati in molti casi; in altri, la rabbia nei confronti delle forze dell’ordine, incisioni, graffiti. I ragazzi sono rimasti lì dentro; alcuni di loro non sono riusciti a percepire che pure i servizi igienici lì sono controllati a vista. Poi la somministrazione di un questionario per capire cosa i ragazzi hanno provato ‘dietro le sbarre’. In parte disagio, in parte hanno percepito la rabbia e l’isolamento, “Con risposte forse falsate, soprattutto per i ragazzi, che rispetto alle ragazze sembra abbiano una maggiore difficoltà ad esternare le loro emozioni. Sono rimasto particolarmente  colpito – dice ancora Citrella – dall’intervento di una ragazza che ha sottolineato come nella ‘spersonalizzazione’ che si vive dentro una cella, dove puoi apparire come un ‘numero’, si voglia lasciare anche solo il proprio nome come una sorta di rivendicazione all’identità”. Ma come si vede il mondo da dietro le sbarre? “Da dietro le sbarre il mondo non c’è. La Camera penale è molto sensibile al tema della dignità dei detenuti; dal 1 gennaio di quest’anno, ad oggi, ci sono stati 35 suicidi in carcere. Il pensiero della Camera penale e anche il mio è che la Costituzione impone una pena rieducativa e la recidivanza, il ricadere nella commissione dei reati,  non c’è quando  un detenuto viene trattato bene; peggio si tratta un detenuto e più aumenta la possibilità di una recidivanza alla fine della pena. Anche ai fini dell’utilitas del popolo e della società è importante che il detenuto venga trattato bene, venga effettivamente rieducato. Ed è una condizione che in questo stato di sovraffollamento delle carceri è difficile da attuare. E’necessario un investimento sulle strutture, sul personale e la sua formazione e le proposte, la Camera penale, a livello nazionale. le ha costantemente offerta alla politica”.

L’esperienza di stare chiusi in una cella ha altre chiavi di lettura? “In uno degli incontri con i ragazzi, ho letto i titoli di reato e le pene previste per gli stessi; pochissimi ritenevano che la pena fosse adeguata o troppo onerosa. In gran parte sostenevano che la pena fosse troppo mite. Abbiamo cercato di fare capire ai ragazzi come il nostro grado di civiltà come nazione, si basi sul nostro modo di trattare i detenuti, l’essere umano che ha sbagliato. Penso che dopo questa esperienza anche se molto breve, dentro una cella – conclude il presidente della Camera penale degli Iblei, Nunzio Citrella – la loro percezione sull’idea del gettare le chiavi, del marcire in galera, sia stata accantonata”. 

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