Babbo Natale non crede che noi esistiamo

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Come oramai sa anche l’ultimo dei pastorelli del presepe, Natale è alle porte e si avvicina sempre più la notte in cui molti bambini da uno a sette anni (per dire) attendono con entusiasmo l’arrivo dei regali portati da Babbo Natale, in un rituale che riflette una magia senza tempo. 

Non soltanto i bimbi occidentali credono a Babbo Natale. Il mito è nutrito dalla cultura popolare delle favole, dei film, delle poesie e canzoncine a scuola, delle vetrine dei negozi, della pubblicità, dei cartoni animati. A Natale tutto parla della neve e di Babbo Natale.

E però, per i genitori politicamente corretti, si ripresenta a casa il dilemma filosofico: è giusto narrare la storia di Babbo Natale ai figli? 

Molti adulti timorosi si pongono lo scrupolo: raccontare storie false e inventate nuoce al rapporto di trasparenza e di fiducia coi bambini? Nel rovello amletico si insinua a gamba tesa anche il tema della “cicogna”, pur non essendo stato invitato. E altre favole a seguire.

Molti, al contrario, pensano che sia corretto raccontare una storia fantastica capace di alimentare gioiosamente la loro fantasia e la magia dell’immaginazione. Infatti, più in là con gli anni, i figli scopriranno la verità senza alcun psicodramma o trauma di sorta. 

E gli psicologi come si schierano? Io sono persuaso che credere a Babbo Natale faccia bene ai bambini. La psicologia dello sviluppo può aiutarci a capire perché.

Le credenze fantastiche sono associate a molteplici effetti funzionali dello sviluppo. Esse consentono di esercitare la capacità di ragionamento controfattuale, indispensabile per l’evoluzione dell’individuo, la crescita psicologica, il suo sviluppo emotivo. Non solo non sono dannose, ma sono anche correlate a un ventaglio di risultati positivi sullo sviluppo psicologico. 

A sette anni circa i bambini smettono di credere. Rientra nella crescita. Babbo Natale diventa poco credibile perché è in grado di fare cose straordinarie e impossibili anche a un super papà, come consegnare in una notte i regali a tutti i bimbi del mondo, volare con una slitta trainata da renne, saper distinguere tra bambini buoni e cattivi. Le obiezioni e le domande che i bambini cominciano a porsi si traducono in dubbi che stimolano il pensiero critico, il pensiero cognitivo, la curiosità verso il mondo reale, lo scetticismo verso la leggenda.

Quando i bambini scoprono che Babbo Natale è solo frutto di fantasia, non la prendono male e la considerano una bugia innocente detta a fin di bene, intesa a farli viaggiare in una favola. E, delusione a parte, i figli non perdono la fiducia (costruita da tempo) nei genitori a causa di questo. 

Insomma, tutti i bambini meritano questo speciale incantesimo che deve essere protetto, custodito, nutrito.

Diventa secondario se Babbo Natale esista o meno: è il rituale condiviso tra genitori affettuosi e bambini protagonisti ad essere essenziale (come, ad esempio, nella ricorrenza dei “Morticini”). Poco importa che la liturgia degli affetti sia disegnata anche da una complicità di cose non dette o “bugie bianche” che si è scelto di condividere in ossequio a un tacito patto d’amore reciproco.

E tutto questo però a due condizioni per me imprescindibili. 

1. Non esistono bambini buoni e bambini cattivi, e i doni sono per tutti.

2. A una certa età è importante imparare ad avere fiducia nella scienza (la butto qui, oggi domani potrebbe servire).

E comunque, per concludere, mi sono sempre chiesto: Babbo Natale crede che noi esistiamo?

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