IL SECOLARE E TEDIOSO PERBENISMO

 

Vivere assolutamente entro gli schemi e le convenzioni sociali è stata sempre la prerogativa del tradizionale e meticoloso perbenismo. Negli anni cinquanta e sessanta le famiglie del ceto borghese medio alto ne facevano una regola di vita. Chi viveva pur in buona fede, fuori da queste norme e  dall’esasperato “Bon Ton”, (rituale consuetudine, consistente  nella  scrupolosa cura della forma), era considerato quasi uno scapestrato,un uomo senza ritegno. Ricordo che, agli inizi degli anni sessanta(avevo dieci anni appena)si diffuse in Europa, e quindi anche in Italia, la moda americana dei “blue jeans”,alla James Dean, mito e simbolo dei teddy boys statunitensi. Tale  fenomeno di estetica” rivoluzionaria “fece presa sui nostri adolescenti dell’epoca. Molti di essi indossarono questo eccentrico capo,inneggiando anche alla musica rock,anch’essa di importazione americana. I giovani italiani che emulavano  le gesta di James Dean erano mal giudicati nei salotti buoni, in quanto  considerati alla stessa stregua di teppisti  o delinquenti di quartiere “L’etica perbenista” metteva al bando anche quella musica,da essa etichettata, sfrenata, assordante e volgare. Pensate un po’ quindi, una musica che aveva mitizzato leggendari interpreti come Elvis Presley, Little Richard e i Platters (per citarne alcuni) osannati e acclamati nel mondo intero,oggetto di giudizio riprovevole e poco tenero da chi?

Da coloro che, di contro, giudicavano come modello di sobrietà e di armonia solo i valzer di Strass e  le musiche che accompagnano le danze classiche e melliflue delle feste gattopardiane che si tenevano nei sontuosi palazzi nobiliari. Con il trascorrere degli anni si arrivò al fatidico 68,movimento culturale che sconvolse tutti i campi della vita sociale nel mondo intero. Le spinte combattive provenienti da tutti i settori s’intrecciarono  in una sintesi travolgente che coinvolse notevolmente i rapporti inter individuali. Gli studenti contestavano il regime quasi dittatoriale degli insegnanti,soprattutto nelle scuole medie superiori e all’Università. Gli operai delle fabbriche e delle aziende,dopo anni di oscuro torpore, cominciarono a sollevare la testa contro i padroni dei mezzi produttivi, contestando  il proprio sfruttamento che portava all’alienazione, e i loro esorbitanti profitti economici.. I contadini intrapresero la  loro lotta contro le conseguenze della politica agraria del Mercato comune.

Ovunque venivano rivolti appelli accorati contro le guerre imperialiste, sul tipo dell’intervento americano nel Vietnam o dell’invasione sovietica in Cecoslovacchia. I simboli vincenti di questa epocale protesta erano prevalentemente rappresentati dai gruppi musicali provenienti maggiormente dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, con la moda dei capelli lunghi, del vestiario apparentemente trasandato e contro corrente, le cui canzoni e musiche  avevano testi ricchi di contenuti morali che inneggiavano alla pace e all’abolizione della guerra e dello sfruttamento umano. Personalmente ricordo ancora un episodio satiricamente comico, che ci riporta  alla triste nota del “perbenismo”. Ero iscritto al primo anno di Scienze politiche ed avevo aderito ad  una iniziativa promossa da un club giovanile “il Rotaracht”: era una diramazione del Rotary dei soci più anziani (ne ho già parlato nel decimo capitolo, a proposito degli assembramenti sociali esclusivi  e pressoché ipocriti nelle  prospettive), anch’esso con finalità  culturali velleitarie. Io all’epoca,insieme ad un mio caro amico, anch’egli rotarachtiano, portavo i capelli lunghi,quasi fin sopra le spalle.

Nel corso di una conviviale tenutasi in un albergo cittadino, dove erano presenti anche soci più attempati del Rotary, il caso volle che vicino  a noi  sedette un medico, non più giovane di chiara mentalità conservatrice e preconcetta. Questi ci guardò per tutta la serata con disprezzo, come rari esemplari, senza rivolgerci mai la parola , come le regole di buon vicinato” da mensa” insegnano. Notavamo peraltro che, lo stesso farfugliava continuamente al suo vicino di tavolo frasi di dura disapprovazione per il nostro vergognoso aspetto, mal celando ingenuamente la sua riservatezza. Io ed il mio amico sorridemmo ironicamente e bonariamente tutta la serata, ma qualche tempo dopo battemmo opportunamente in ritirata, dando le dimissioni dal club dei “finto buonisti”.

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