IL PRIMO RICORDO DI VIAGGIO

Sì, credo sia stato questo il mio primo viaggio in treno. Dovevo avere meno di tre anni, e andavo in treno alla volta di Bolzano, con mia madre e la zia. Non riuscivo a stare ferma. Lungi dalla mia vivacità lo stare seduta ferma fra loro! Sicuramente fui richiamata varie volte: “Non incollarti al finestrino!”. “E’ pericoloso!”. “E’ sporco!”. “Il controllore ti darà la multa!” Oh, sì, mi sarò anche fermata, spostata, avrò di certo ascoltato, ma sta di fatto che poi, dimenandomi, per sfuggire alle brusche prese di una e alle carezze contenitive dell’altra, finalmente riuscii a far abbassare il vetro del finestrino sino al livello degli occhi. Divincolandomi, avrò promesso di non sporgere le mani e le braccia; capivo da me che i pilastri che scorrevano a fianco della strada ferrata erano pericoli veri. No, non avrei nemmeno messo la bocca o la lingua sul vetro! “ Prometti? Promesso!” E così, finalmente, col vetro del finestrino abbassato arrivai a sentire l’odore della campagna  in fiore, mentre la corrente d’aria mi bloccava il respiro trattenuto, o alitato sul vetro fresco se mi ritiravo un pochino verso l’interno del vagone. Quell’aria, quello scorrere del paesaggio nuovo aveva il gusto della novità, di una curiosa avventura, insomma. Gioivo di quel paesaggio di campi, orti, dei filari di viti e dei  meleti dai fiori bianchi, dal continuo variare dei profili dei monti, dal repentino sorpassare dei piloni della corrente elettrica (in legno o in cemento già?). La stretta strada sassosa delimitata dall’erba a fianco della ferrovia scorreva, tatam tatam, a ritmo della veloce canzone sui binari, tatam tatam tatam…Oltre il finestrino: verde e azzurro. Le mie manine aggrappate al vetro, quasi a trattenerlo, avvertivano il morbido velluto scuro -tipico nelle vecchie carrozze ferroviarie di allora- che sfiorava anche le guance, quando saltellavo. Mi sentivo bene, mi sentivo dentro l’aria, ero totalmente felice, ma all’improvviso accadde qualcosa – che forse segnò ogni mio viaggio successivo-. Fu un attimo, fu un dettaglio: la forte corrente d’aria mi strappò dai capelli la molletta preferita con cui li avevo acconciati. Il fermaglio, decorato da un grande papavero rosso di panno, con la piccola foglia verde brillante, volò roteando, così velocemente che non vidi nemmeno dove finì. Fu un attimo. Questo episodio banale non controllabile non fu insignificante per me, bambina. Piansi e mi dispiacqui, e non ho più dimenticato. Non mi stupisco se l’inconscio ancora oggi, affianca la mia idea del viaggio a qualche possibile perdita, dispiacere. Chiunque ricordasse qualcosa di un suo primo viaggio, ne vedrebbe l’impronta ripetersi, anche in età adulta: un percorso perfetto, o bello, ma con  un vago senso di inquietudine, o qualcosa da evitare del tutto?

 

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