IL LUSSO DI ALLEVARLO PER LA SUA BELLEZZA NELL’AGORÀ DI SANTA CROCE CAMERINA! THIS IS THE PROBLEM?

Il carrubo è il tipico albero del paesaggio ibleo. Albero bellissimo, ma modesto. Cosa sarebbe il territorio ibleo senza il carrubo? Irriconoscibile! Vediamo di conoscerlo più nel dettaglio.

E’ un albero sempreverde, resiste alle intemperie, è secolare, offre una dolce ombra, è fondamentale per l’ecosistema, crea un paesaggio caratteristico unico al mondo, dà la legna e le frasche con cui nel passato venivano alimentati i focolari, e si faceva la ricotta, vi si rinvengono, dopo le prime acque autunnali, aggrappati ai tronchi, dei funghi di rara bellezza e gradevolezza  (A funcia ri carrua) che si vende ancora oggi in occasione dell’asta dei doni che si fa durante le celebrazioni del Patrono di Santa Croce , San Giuseppe.

Dalle sue zagare profumate le laboriose api suggono il nettare che trasformano in dolce miele (U meli ri carrua), dà, infine un frutto, la carruba, la cui polpa è alimento prezioso per gli animali e nei ricordi di alcuni generazioni alimento per gli uomini.

Il carrubo, con la sua ampia chioma, rappresenta un’oasi di frescura. Sotto queste chiome generazioni di bambini venivano fatte dormire per l’ossigeno (l’ossigeno prodotto a seguito della fotosintesi clorofilliana).

Per noi dunque l’albero di carrubo non è un albero qualsiasi. E’ la storia di ciascuno di noi.

Era, inoltre per la nostra cultura contadina, fonte di reddito. Le mucche si riparavano all’ombra dei carrubi per proteggersi dal sole cocente e contemporaneamente, si nutrivano delle sue foglie. Così le loro fitte chiome risultavano perfettamente tosate nelle parti inferiori.

Le coltivazioni in serre hanno fatto scempio di questo albero tanto benefico anche a fini ambientali, è stato brutalmente estirpato, bisognava invece rilanciare il rapporto albero-uomo animali-ambiente.

Ma da dove proviene quest’albero?

Secondo alcuni autorevoli fitogeografi sembrerebbe che il carrubo sia stato importato dal mediterraneo orientale in epoca fenicia, (infatti il suo nome deriva dall’arabo CHARNUB). Pertanto poté assistere alle guerre puniche ed all’affermarsi della potenza di Roma imperiale.

Secondo altri la specie sarebbe originaria della costa meridionale dell’Anatolia e della Siria.

Molto probabilmente i Fenici, circa duemila anni prima della nascita di Cristo, portarono i semi di carrubo  dal  Golfo Persico in tutto il Mediterraneo: nelle zone corrispondenti all’attuale Libano ed Israele, Cipro, Rodi, in Egitto, nell’Africa settentrionale, in Sicilia, in Sardegna, in Spagna e nelle Baleari.

Altri autori  ritengono che il carrubo fosse già presente in Sicilia ed in altre zone del Mediterraneo molto prima dell’arrivo dei Fenici.

Il primo scrittore che segnala il carrubo fu Teofrasto(371-286 a.C.) nella “Scienza delle piante”.

La Bibbia non menziona questa pianta. Solamente dopo la conquista del Mediterraneo da parte degli arabi si diffonde la parola Kharrub.

Il carrubo mal sopporta temperature inferiori a -5°, mentre in estate tollera i 45° e oltre.

Al carrubo che cresce, si può benissimo adattare l’aforisma delle tre ESSE che si usa in Toscana per sintetizzare le esigenze ecologiche: Sole, Sassi e Solo.

In conclusione che sia il carrubo o un’altra  pianta con un buon sviluppo arboreo è lo stesso, purché si provveda urgentemente all’arredo dell’Agora.

Il discorso è… fare, perché si ha colpa anche quando ci si perde in chiacchiere infinite e questo non fa bene all’ecologia, l’immobilismo è reato. Nell’attesa ci gustiamo questa poesia sul carrubo Di Carmelo Assenza.

Nuddu ti leva ‘u siccu….

Oh maccia ri carrua sularina!….

‘N cc’è nuddu ca ti cerca e t’accarizza…

Nuddu ti leva ‘u succu ca s’antrizza

Furmannu ntra lu virdi ‘na catina…


Sti rrami tuoi, ittati all’ancilina,

pàrunu manu stisi p’affirrari

‘n filiddu ri spiranza, ca scumpari

La notti e rrcumpari a la matina…


Tu hai ancora cosi ri cuntari!

Ma nuddu veni!…nuddu ‘ciù t’ascuta!…

Sulu la carca razza ti saluta

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