IL DIRITTO AL LAVORO

L’articolo 1 della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. E l’articolo 4 “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

La nostra Costituzione mette il lavoro alla base della Repubblica in senso decisamente sociale. Tale impostazione ritroviamo anche in altri punti della Costituzione quali quelli che prevedono i diritti di proprietà e all’impresa economica nel quadro di una funzione sociale, finalizzati cioè alla crescita del benessere comune.

Il lavoro di cui si parla è il lavoro dignitoso che produce guadagno. Una società civilmente evoluta dà spazio nella sua economia al lavoro e all’impresa produttiva che produce ricchezza e lavoro. Ciò che differenzia una società economicamente civile da una società parassita è infatti il guadagno che deriva dal lavoro dal guadagno senza lavoro.

Se questi sono i principi, la realtà è certo ben diversa e, sopratutto di recente, va in direzione certamente contraria.

I tempi in cui, grazie anche a un periodo economico di espansione, i diritti dei lavoratori venivano sempre più garantiti e le loro condizioni economiche erano in espansione sono un ricordo lontano. L’approvazione dello statuto dei lavoratori (1970) è una pietra miliare di quel periodo.  Ora, quando si parla di lavoro, sembra che si siano invertite le regole del gioco. Il diritto del lavoro era nato per proteggere la parte debole del rapporto (il lavoratore rispetto all’imprenditore), ora tutte le nuove norme tendono ad eliminare le tutele a favore dei lavoratori, viste come intralci che limitano l’iniziativa imprenditoriale. Anche le ultime modifiche al processo del lavoro limitano di molto i poteri del giudice nel sindacare le norme contrattuali che, naturalmente, spesso rispecchiano gli interessi della parte più forte.

Il rapporto di lavoro è un rapporto regolato dalle leggi economiche della domanda e dell’offerta e mai quanto oggi, a motivo della globalizzazione e della massiccia introduzione di automazione nei processi di lavoro, l’equilibrio di forza si è spostato dalla parte del datore di lavoro.

Per questo credo che sia stato molto opportuno il richiamo di ieri del presidente Napolitano alle organizzazioni sindacali perché eliminino le loro divisioni che ulteriormente indeboliscono il ruolo dei lavoratori nel mercato del lavoro.

Nel panorama economico italiano, nel tempo, sono sempre più diminuite le imprese produttive e aumentate le iniziative finanziarie che creano ricchezze virtuali senza creare ricchezza per la società.

Di recente il Ministro dell’economia ha dichiarato che se in Italia ci sono molti disoccupati è perché i nostri giovani non vogliono lavorare; tanto è vero che gli immigrati sono tutti occupati. Non ha detto che gli immigrati spesso lavorano in nero o con salari da sopravvivenza. Né che i nostri giovani sono stati illusi da un sistema scolastico che li ha parcheggiati per anni in processi di istruzione senza alcuna speranza di prospettive di lavoro.

Il diritto al lavoro vorrebbe uno Stato più attento al futuro dei nostri giovani: a cominciare da una buona politica dell’istruzione fino a una politica del lavoro più rispettosa e sensibile alle esigenze dei più deboli.

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