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IL “DIAVOLETTO DI CROCETTA” E LA COSIDDETTA ABOLIZIONE DELLE PROVINCE
08 Mar 2014 18:42
Parlare male di una riforma è tra le attività intellettuali la più semplice. Tant’è che uno dei più importanti economisti e scienziati sociali americani del dopoguerra, Albert O. Hirschman, aveva individuato tre argomenti o, come le chiamava lui tre “retoriche delle reazione”, che possono accompagnare ogni riforma: la tesi della futilità, cambiare le cose è comunque inutile (ricorderete il principe di Lampedusa); la tesi delle conseguenze non volute, i cambiamenti provocano esiti negativi spesso non previsti; la tesi della messa a repentaglio, ogni cambiamento minaccia valori importanti (la democrazia, la rappresentanza, la stabilità ecc.). E’ facile vedere come questo ventaglio di argomenti si applichi senza sforzo alla recente riforma regionale, voluta dal governatore Crocetta e dalla sua maggioranza, relativa alla abolizione, soppressione, cancellazione delle Province Regionali istituite nella forma attuale dalle legge reg. n. 9 del 1986. Non batterò questa strada fino in fondo. Mi limiterò piuttosto a segnalare alcuni cortocircuiti politici e amministrativi prodotti dall’intervento del legislatore siciliano.
Iniziamo con il dire che di tutto possiamo parlare fuorché di soppressione, eliminazione, abolizione (e simili) delle province. Su questo punto la primazia della Sicilia sull’Italia, più volte ribadita dal Governatore e da altri a lui vicini, semplicemente non c’è. Le province restano vive e vegete, anche se cambiano pelle. Si tramutano in “Liberi Consorzi di Comuni”. A dire il vero, dovrei precisare, che ritornano ad essere quei “Liberi Consorzio di Comuni” di cui parlava lo Statuto regionale del 1947 all’art. 15, mai applicato. Le nuove strutture consortili al momento conservano lo stesso perimetro delle vecchi province, oltre alle risorse di personale, organizzative e logistiche. Con la differenza, e non è certo poco, che adesso gli organi istituzionali esprimeranno una rappresentanza di secondo grado, saranno cioè costituiti attraverso elezioni indirette. Al momento, quindi, i consorzi non appaiono nemmeno tanto liberi. Ma appena trascorsi sei mesi dalla entrata in vigore della legge e nel rispetto di alcuni vincoli (territoriali e dimensionali), i comuni potranno dare sfogo alle proprie inclinazioni storiche o opportunistiche e aggregarsi ad altri consorzi. E qui entra in azione il “diavoletto di Crocetta” che a differenza di quello di Maxwell, che favorisce la riuscita dell’esperimento mentale del fisico, ha elevate probabilità di agire in negativo alimentando contrasti politici e incoerenze amministrative.
La nuova configurazione del livello intermedio di governo o, con un termine vago, dell’”area vasta” incentiva la conflittualità periferica. Gerarchie urbane e territoriali si potranno mettere in discussione e ridefinire, il che non è necessariamente un male. In ogni territorio ci possono essere spinte e contro-spinte che, per esempio, mettono in urto città a centralità economica e quelle a centralità amministrativa, ovvero a resistere alle mire egemoniche di un centro urbano e delle relative élite politiche, culturali ed economiche. Se è vero che la società segue l’amministrazione, si adatta alle nuove istituzioni (così è accaduto con le provincie dopo la loro origine napoleonica) è altrettanto vero il contrario, anche l’amministrazione riflette i rapporti di forza tra territori e élite locali. Come si dice, “chi ha più lana tesse”. La riorganizzazione dei sistemi amministrativi locali pone, poi, la questione dei rapporti con gli ambiti produttivi territoriali e della ricerca di una nuova centralità ecologica (città che perdono rilevanza altra che la acquistano, nuove reti urbane che si creano). Così come pone la questione dei rapporti con il più complesso sistema di governo intermedio, cioè con lo spazio amministrativo che si dispiega tra Comune e Regione o Stato. Le tendenze in atto sono contraddittorie. Da un lato, ci sono spinte nazionali alla razionalizzazione amministrativa territoriale che conducono alla soppressione di enti sottodimensionati (prefetture, tribunali) e alla loro concentrazione in appositi centri urbani (i capoluoghi di provincia), il che di per sé crea ed enfatizza dei rapporti territoriali asimmetrici tra città, con la formazione di un sistema urbano provinciale (o consortile) dipendente da un unico centro. D’altro, stanno le contro-spinte volte ad equilibrare i rapporti interni ai sistemi urbani con la conseguente crescita della “politicità” delle relazioni tra attori del meso-governo e dei conflitti tra territori e città. La legge in approvazione a palazzo dei normanni potrebbe concorre a questo esito.
D’altra parte, come si diceva lo spazio amministrativo intermedio è piuttosto affollato, apparati amministrativi dipendenti dal centro (prefettura, strutture giudiziarie, ecc.), enti funzionali e locali specializzati (Asl, Camere di commercio, consorzi pubblici, ecc.), altri enti locali di secondo grado (ex Ato), e via dicendo. In questo scenario mosso i nuovi consorzi di comuni avrebbero potuto avere un ruolo cruciale di semplificazione, di coordinamento e di assorbimento di funzioni e di strutture disperse rivelatesi poco efficaci e soprattutto efficienti (come gli ex-Ato). Ma nulla di tutto questo sembra accadere. Non è nemmeno chiaro come, nel medio lungo periodo, si ridefiniranno i rapporti inter-istituzionali, cioè le relazioni tra tutti questi enti del livello intermedio di governo. Sappiamo solo che in nostri Consorzi sono definiti all’art. 10 in modo generico come enti di coordinamento, controllo e pianificazione e si rinvia ad una successiva legge regionale, molto probabilmente autunnale, per una più accurata definizione delle funzioni. Del resto, fin dalla loro costituzione ottocentesca, le province sono state caratterizzate da una inconsistenza di attribuzioni e, ancor di più, da una incoerenza tra funzioni decisorie ed erogatorie di servizi. Resta, comunque, un punto da chiarire: se l’ente consortile diventa un’entità di controllo-pianificazione che fine fanno le funzioni di amministrazione diretta ancora in capo alle ex province (viabilità, polizia, edilizia scolastica, ecc.) con il relativo personale? Ecco riapparire di nuovo il “diavoletto di Crocetta”, invece di semplificare l’universo-mondo dell’amministrazione periferica i nuovi consorzi per come sono stati disegnati verosimilmente lo renderanno più complicato. Ma probabilmente anche più dispendioso, poiché sappiamo che il controllo della spesa e la limitazione della rendite politiche non ha nulla a che vedere con le “forme” dell’amministrazione ma più banalmente con la loro operatività e organizzazione concreta. Anche il più banale consorzio monofunzionale può diventare un buco nero della spesa pubblica. Ancora una volta un “diavoletto” si aggira tra i liberi consorzi.
(*) Università della Calabria
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