IL CRITERIO DELLA MESCOLANZA

Oggigiorno sono molto diffusi e apprezzati i vini monovarietali, vale a dire i vini prodotti da un’unica varietà di uva. Eppure in passato i vini, di norma, erano tagli o mescolanze formati da varietà diverse. Certo i vini monovarietali esistevano già, ma non erano così  diffusi e richiesti come al giorno d’oggi.

L’uso di mischiare diverse varietà non era esclusivo delle grandi denominazioni. Nelle campagne italiane e non solo, ogni contadino che possedeva un vigneto, coltivava in esso diverse varietà di uva, anche di diverso colore. Si trattava quindi di vigneti a coltivazione promiscua, dove non sempre era chiara la differenza tra le diverse varietà presenti. Inoltre era normalissimo vinificare uva a bacca rossa e a bacca bianca assieme; basti pensare che una volta il Chianti veniva prodotto, aggiungendo anche una percentuale di vitigni a bacca bianca. Pratica questa che oggi ormai è quasi totalmente inutilizzata.

Molte cose sono cambiate e la vinificazione di uve dal colore diverso viene concepita diversamente, sebbene esista ancora. La differenza è però notevole. Oggigiorno, quando si procede a un taglio tra varietà di colore diverso, è consuetudine affermata  di vinificarle separatamente e di vinificare in bianco le varietà a bacca rossa, come succede per il pinot noir a Chamapagne. Vinificare in bianco una varietà a bacca rossa vuol dire ridurre a tempi minimi il contatto tra il liquido fuoriuscito dalla spremitura e la parte solida dell’uva, ossia la buccia, proprio perché nella buccia si trovano le sostanze coloranti dell’uva. Evitando di mantenere il mosto a contatto con le bucce, si potrà ottenere un vino bianco da uva a bacca nera. Ora questa pratica non è molto diffusa, o per meglio dire viene utilizzata soltanto con certe varietà di uva, in primis il pinot noir, che bene si presta a questo tipo di vinificazione.

La mescolanza o il taglio, oggigiorno sempre più rara tra vitigni di colore diverso, è però assai diffusa ancora tra vitigni dello stesso colore. Se prendiamo come esempio i vini di Bordeaux, i quali hanno segnato profondamente la storia del vino europeo, ci troviamo di fronte a dei vini che da sempre sono stati prodotti dalla mescolanza tra vitigni diversi. Il taglio classico bordolese prevede infatti l’uso di cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. A questi tre vitigni si aggiungono anche altri vitigni minori, come il malbec, che conta ormai una presenza minima nel vigneto bordolese. L’assemblaggio bordolese ha avuto un grandissimo successo, proprio perché gli enologi tramite la mescolanza riuscivano ad ottenere vini migliori rispetto a quelli che si sarebbero ottenuti se vinificati separatamente. Ovviamente il taglio bordolese è nato in origine, prima che si parlasse di Bordeaux come denominazione, per smorzare certe ruvidità dei vini, soprattutto del cabernet sauvignon. Questa pratica che è nata come sistema per nascondere certi difetti del vino, ha raggiunto un livello tale di specializzazione tramite secoli di studio, che oggi è sempre un sistema migliorativo a livello organolettico, ma certamente rare volte serve a nascondere difetti dell’uva.

Anche in Italia la mescolanza era la norma. Abbiamo detto il Chianti, ma vale lo stesso per il Vino Nobile di Montepulciano, il Valpolicella, il Marsala e altri. I primi tentativi importanti di vinificazione in purezza giungono in Italia tramite il Barolo e il Brunello di Montalcino. Ciò non vuol dire che non vi fossero già presenti in Italia vinificazioni in purezza, ma queste erano casi isolati o circoscritti.

L’impressione che ricevono alcuni consumatori dei vini prodotti da mescolanza di uve diverse è che si tratti di vini difettosi a cui si cerca, tramite il taglio, di nascondere i difetti. Questo pregiudizio in passato era sicuramente vero, o quanto meglio la pratica del taglio era usata abbondantemente per nascondere difetti del vino. Oggi però non è più così. La mescolanza non è più concepita come sistema per nascondere difetti, ma bensì per migliorare complessivamente il vino. La maggior parte delle mescolanze oggi viene fatta soltanto per dare maggiore colore al vino. Il nerello cappuccio viene aggiunto al nerello mascalese proprio per dare maggiore colore al vino, poiché il nerello mascalese possiede pochissimi antociani. Un taglio molto usato è anche quello per dare maggiore morbidezza al vino. Tipico è l’uso che si fa del merlot, che non solo dà colore, ma anche morbidezza. Infine vi è anche il taglio finalizzato ad aumentare l’acidità del vino. Il nero d’Avola è un vitigno che generalmente non presenta una grossa componente acida, ecco perché alcuni produttori lo tagliano con altri vitigni maggiormente ricchi in acidità.

Ciò che è importante capire del taglio è che fino a quando la percentuale del vitigno spalla aggiunto resta sul 5%, il suo apporto migliorativo sarà praticamente inesistente. È necessario, dipendendo dal vitigno, un apporto minimo del 10% o 15%. Con una percentuale del genere è già possibile percepire un cambiamento nel vino. Va tenuto conto però che se il quantitativo aggiunto presenta un difetto, per esempio tannino verde, sarà percettibile anche al 5%.

Questa caratteristica del taglio fa sì che una mescolanza fatta senza criterio o fatta con il solo scopo di nascondere i difetti del vino, sia facilmente riconoscibile.

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