Il 25 aprile è divisivo solo per noi dinosauri

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Jurassic talk. Io lavoro da quasi trent’anni con bambini/e, adolescenti e ragazzi/e di tutte le età. Nel loro immaginario psicologico, nel loro orizzonte socio-relazionale, il 25 aprile è essenzialmente l’occasione di una festa dalla bellezza innegabile, ma scontata. Ai loro occhi sarebbe inammissibile, senza “se” e senza “ma”, immaginare un’esistenza priva di libertà (di scelta, azione, espressione, pensiero), priva di tolleranza, inclusione, pluralismo, pace, “cosmopolitismo” e “globalizzazione”. Inconcepibile giustificare o semplicemente comprendere anche solo in parte una dittatura del passato e nel presente, inaccettabile una vita in seno a una “democratura” (una democrazia afflitta da restrizioni) o addirittura a un regime (segnatamente fascista nella misura in cui in Italia è la forma che i bisnonni hanno sperimentato e/o subìto).

Sotto questa luce, la vicenda della “censura” del monologo di Scurati assume sgradevolmente il sapore archeologico di una pietanza che ai più giovani rischia di sembrare un piatto cucinato su Marte diecimila anni orsono.

Ormai a leggere il monologo di Scurati sull’antifascismo sono stati in questi giorni milioni di italiani. Innumerevoli ragazzi/e o boomers, solitamente non interessati alle questioni politiche e ideologiche, che non avrebbero mai visto la tv, ora invece hanno letto il testo dello scandalo e, in alcuni casi, hanno  scoperto che “Scurati” non è una marca di biscottini integrali del Mulino Bianco (ma un importante intellettuale italiano).

Come ho scritto altrove, del “caso Scurati” a me scandalizza infatti una cosa. Non la censura (sbagliata) della Rai del suo monologo sull’antifascismo storico. E contro l’attuale governo politico, ammettiamolo. Infatti, dobbiamo essere antifascisti, ma obiettivi, e riconoscere che il monologo di Scurati è (legittimamente) un testo antifascista in chiave segnatamente “antigovernativa”.

Non mi scandalizzano neppure le spiegazioni rocambolesche di chi ha censurato.

Mi lascia invece senza parole l’ingenuità riguardo alle regole della comunicazione (nell’era digitale) e l’autolesionismo di chi avrebbe “imposto la censura” a una giornalista dritta come la Bortone. Errore che probabilmente la Meloni individualmente, a differenza dei “fedeli realisti”, non avrebbe commesso. A lei riconosco intelligenza e sottigliezza. E peraltro ella ha subito pubblicato il monologo nei suoi social. A tal proposito, per inciso, mi colpisce l’ostinazione con la quale molti simpatizzanti del governo neghino (anche sui social) che si sia trattata da parte della Rai di “censura” e sostengano che sia stato giusto di fatto esercitarla, quando invece persino la Meloni e altri autorevoli profili a lei sodali hanno giudicato un errore inaccettabile l’aver cancellato il monologo in tv.

Il punto che mi sgomenta è proprio questo, detto squisitamente in forma di paradosso: ma se tu inciampi in uno strafalcione così elementare sulla comunicazione, quante possibilità hai oggi di contribuire ad evitare la terza guerra mondiale?

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