I “Morticini” erano più belli di Halloween, ma la zucca non è il male

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

La festa dei “Morticini” ricorda a tutti noi un’adorabile nonna o una vecchia zia.

Per me è proprio così. Le piccole lire della sua pensione di ottobre erano tutte per i suoi nipoti. Per i regali dei “morticini” (come li chiamava lei). 

Rinunciava alla parrucchiera, alle calze nuove, al 45 giri della hit di Sanremo. Metteva i risparmi da parte. Perchè i suoi regali non sfigurassero difronte a quelli degli altri. Mai!

Il suo per me era il più bello: i playmobil, quei ridicoli cowboy di plastica, protagonisti di storie e letterature meravigliose, nei miei giochi senza fine.

Ci teneva a dire che a portarli sul divano del salotto di frutta martorana era stata la sua amatissima sorella (mia compianta nonna). Ma il bacio e il ringrazio lo voleva lei, mia zia Giuseppina. In carne e ossa.

Io sapevo che non erano i “morticini”. Era lei. Ma entrambi facevamo finta di essere scemi di pura bellezza. E in fondo, in Sicilia da sempre le cose essenziali nascono così. Come quando fingiamo che i nostri cari siano sempre con noi, nei nostri ricordi e ci parlino pure. E sappiamo che è davvero così. Ma non sappiamo spiegarlo a parole. O come quando, cardoni di mezzo secolo oramai, raccontiamo ai nostri amici su un social una zia che non c’è più. Ecco perché vorrei comunicare dopo più di quarant’anni ai miei genitori che non mi sono mai bevuto quella balla ridicola. I morticini non portavano regali. I morti volevano solo che noi stessimo scemi e vicini. Almeno per un giorno. E ne valeva davvero la vita.

E tuttavia, io oggi non demonizzo affatto Halloween e i bambini e i ragazzi che ne hanno fatto un gioco di liturgie. La festa americana non è la celebrazione del Male. 

È una festa celtica (europea). È il giorno più potente dell’anno, nel quale le dimensioni si fondono: il mondo fisico e quello astrale (o degli spiriti) interagiscono. Spiritualmente, la festa era un momento di contemplazione e magia.

I morti avrebbero potuto fare ritorno per un giorno nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita. E allegri festeggiamenti erano tenuti in loro onore. Il passato ed il futuro venivano celebrati insieme.

La tradizione di vestirsi da streghe e mostriciattoli è goliardica non macabra. Le zucche tagliate e i costumi in maschera hanno risvolti ludici e di socializzazione divertita sulla scia di storie antiche oramai perdute e trasfigurate. Lo spirito degli antenati che viene a trovarci. In fondo, dovrebbero essere loro ad essere terrorizzati nel rivedere noi. In questo mondo in cui la realtà è la vera serie horror.

Antropologicamente, la festa  ha un significato profondo che coincide con il bisogno di esorcizzare le paure rappresentandole in una ritualità oggi di pura condivisione infantile e adolescenziale. 

E comunque, come ho scritto altrove, ho il sospetto che il vero pericolo ora non sia Halloween.

Migliaia di bambini trucidati da una parte e dall’altra con il tacito benestare di tutti.

In un posto di religiosissime zucche, devote a tutte le religioni tradizionali, non credo che il problema sia il pagano “Dolcetto o scherzetto” tra i sorrisi e i giochi dei bambini. 

Io la vedo così. Gridatelo nelle vostre omelie in chiesa, nelle sinagoghe, nelle moschee: il Male non ha il viso dei bambini che giocano tra le maschere e le zucche! Il Male ha il volto elegante degli adulti che recitano l’Atto di Dolore in tutte le lingue del mondo. Mentre il mondo sanguina con la voce di un bambino. E di tutte le Divinità del mondo.

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