Elisa ed Elena D’amario: Flashdance, gli scaldamuscoli e quella voglia di tornare agli spensierati anni ’80

La serata delle cover di Sanremo è stata vinta da Gianni Morandi e Jovanotti e secondo noi non è un caso: pieni di energia, spensierati e scansonati, ci hanno fatto tornare nei meravigliosi anni ’90 di “Penso positivo”.

Ma se c’è stata una cover che forse ancora di più ci ha fatti catapultare in quei meravigliosi anni ’80 è stata la cover di Elisa ed Elena D’Amario, con quell’indimenticabile “Flashdance…what a feeling” di Irene Cara e Giorgio Moroder, canzone che vinse anche l’oscar.

Elena D’amario è la prima ballerina della Parson Commedy di New York, più popolare in Italia per la sua partecipazione da sempre – anche come prima ballerina – del programma Amici di Maria De Filippi. Elisa è Elisa, non ha bisogno di presentazioni.

Arrivano sul palco bianche e splendenti. Elena D’Amario resta poi in top e scaldamuscoli…e in un momento, è di nuovo Flashdance, un film dove i sogni di un’operaia talentuosa riescono a diventare realtà.

Perchè ci è piaciuta tanto questa esibizione? Forse perchè per un momento ci siamo dimenticati della pademia e di tutto quello che ci è costata: i morti, senza dubbio. E poi tutto quello che ha significato in termini di isolamento, tristezza, perdita di rapporti umani.

Flashdance è un sogno e gli anni ’80, con tutti i loro difetti, in parte lo erano: erano gli anni dei sogni possibili, di un benessere che sembrava infinito e destinato a non crollare mai, di una vita fatta di balli, di feste, di amici, di aperitivi (ancora non esistevano gli happy hour, o almeno non si chiamavano così).

Elisa ed Elena D’Amario hanno emozionato il teatro Ariston con la ballerina, che, dopo essersi liberata del velo che le copriva il due pezzi e gli scaldamuscoli, ha portato in scena la stessa coreografia del film insieme a Elisa, che per sollevarla da terra ha poggiato il microfono per prenderle la mano e “lanciarla” in un salto.

Al termine dell’esibizione il saluto a sopresa, con un videomessaggio da Los Angeles, di Giorgio Moroder, vincitore dell’Oscar per la migliore canzone nella cerimonia del 1984.

E quegli scaldamuscoli, forse più di ogni altro indumento, ci ricordano quanto sia importante muoversi, fare, andare avanti. E credere che la vita sarà migliore dopo questi due anni così difficili. Quegli scaldamuscoli, forse, potrebbero essere il simbolo di una rinascita per tutti noi. Tornare agli anni ’80 non è certamente possibile, sarebbe anti storico. Ma ritrovare quella spensieratezza, si.

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