Un incarico di alto profilo scientifico e istituzionale che porta la sanità della provincia di Ragusa al centro del panorama medico nazionale e internazionale. Gaetano Cabibbo, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna dell’ospedale “Maggiore-Baglieri” di Modica, è stato nominato membro del Direttivo nazionale della FADOI, la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, e […]
Dietro al fenomeno delle risse: la scintilla esibita oltre la socialità negata
30 Giu 2021 11:04
Interessante lettura dello psicologo Cesare Ammendola sui tanti episodi che turbano il territorio ragusano: “La repressione è necessaria, ma non sufficiente. Come preferire il contatto allo scontro.
Lo “scontro” come metafora del “contatto a lungo negato”. Ovviamente, psicologismi a parte, simili episodi, non inediti (e peraltro diffusi sul territorio nazionale), sono molto più banalmente anche il riflesso inammissibile e disfunzionale di “maleducazione”, scarso senso civico, uso di “sostanze” (alcool innanzitutto), puerile incapacità nel gestire le emozioni e sintomi di un malessere giovanile e generale ben più antico della stagione straordinaria che abbiamo vissuto (e che stiamo attraversando). Nondimeno, sarebbe miope non coglierne la specificità in questo tempo.
La proiezione verso l’altro è anche la rappresentazione plastica ed esasperata di tutto ciò che è stato a lungo vietato: annullare ogni distanza, toccarsi ripetutamente e senza freni, urlare a bocca aperta vis a vis, “muso a muso”. I temi, in senso lato, dell’assembramento, del contagio, della violazione, della ribellione sono i luoghi sbagliati nei quali il corpo reclama nuovamente la sua centralità. Sotto questa luce, la proiezione vorrebbe essere anche la declinazione di parole nuove contro il termine abusato (e oramai odioso e insopportabile) che riecheggia in ogni dove nel mondo degli adulti: “resilienza”.
Per inciso, contrariamente a quanto stabilito da alcuni luoghi comuni, l’esperienza di questi lunghi mesi ha ribadito che i giovani hanno assoluto, prioritario e incondizionato bisogno della relazione “reale” e “fisica”. E i social network hanno a lungo solo minimamente compensato il bisogno di socialità violato.
Nella dinamica degli scontri, gli autori (e gli spettatori più o meno defilati) sono verosimilmente alla ricerca di una “scintilla di eccezionalità” in grado di accendere stati di eccitazione e attivazione fisica ed emotiva intensi. Lo schema e il processo dell’escalation, che può arrivare ad un punto di non ritorno, origina per futili motivi da una provocazione gratuita, un’offesa, un insulto. La persona che risponde alla provocazione cade nella trappola e si lascia trascinare nel conflitto. E così il provocatore riesce nel suo intento: chi provoca ha bisogno di sollecitare nell’altro una reazione simmetrica.
Non di rado tali gesti rappresentano dei modi attraverso i quali emergere. O coincidono con rituali interni al gruppo, che vengono sperimentati e rappresentati come prove di coraggio e forza, in cui l’atto non può non essere plateale, visibile al gruppo (e ai passanti). Il palcoscenico quasi mai è un luogo nascosto, poiché la visibilità è un ingrediente fondamentale. Non a caso, tale forma di esibizionismo confluisce poi anche sui social (Instagram e Facebook su tutti).
Ma appunto, in questa stagione, simili forme di “violenza collettiva” sono segnali di un disagio psicologico più profondo che non può essere sottovalutato. Gli adolescenti, chiamati a crescere dentro la bolla del lockdown, nelle privazioni o limitazioni, sono stati (e sono) interpreti di una sofferenza a volte silenziosa, nascosta che ha alimentato sottilmente in alcuni casi l’angoscia. Riflessi distorti della noia, della frustrazione, dell’assenza di prospettive, ora l’autolesionismo, le risse, il bullismo sono modalità disfunzionali che l’adolescente utilizza nel tentativo di tradurre una richiesta di aiuto agli adulti. I più giovani sono tra le principali vittime indirette della pandemia e sono abitati da una sofferenza che rischia di rimanere invisibile e inascoltata. Saranno loro a dover affrontare le principali e più profonde conseguenze sociali e psicologiche a lungo termine delle prolungate (e forse inevitabili) misure di contenimento della pandemia.
In gioco infatti sono alcuni temi delicati, come la costruzione dell’identità del soggetto in tutta la sua complessità, la difficoltà nella regolazione delle proprie emozioni, l’incompiuta elaborazione simbolica di un “trauma” (un brusco incidente, una parentesi improvvisa, uno stravolgimento inaspettato nella propria storia di vita) privo tuttora di un senso chiaro e definito, l’impossibilità di vivere con pienezza i riti di passaggio nel gruppo dei pari (un limite nel delicato processo di separazione-individuazione proprio della fase adolescenziale), la limitazione del processo di rispecchiamento alla base dello sviluppo affettivo-emotivo, la compressione delle forme espressive tipiche dell’adolescenza, esse indispensabili e imprescindibili nel passaggio all’età adulta …
È per queste ragioni che le azioni di controllo e prevenzione, contenimento e repressione di questi fenomeni di “violenza collettiva in spazi condivisi” sono necessarie, ma non sufficienti. La dimensione dell’ascolto e della comprensione dei bisogni evolutivi, più che mai oggi, deve trovare spazio in seno alla famiglia e alla scuola, nell’auspicio che la comunità nel suo insieme possa riappropriarsi gradualmente di un orizzonte più pieno e libero, dove sono accessibili antiche e nuove vie per l’espressione più sana di sé. Un orizzonte nel quale diventa lecito rifiutare finalmente la parola “resilienza”. E dove sarà sempre possibile preferire la parola “contatto” alla parola “scontro”.
Cesare Ammendola
psicologo e psicoterapeuta
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