DEMOCRAZIA E INTERNET

Stavo elaborando questo articolo prendendo lo spunto dal sesto Internet Governance Forum che si è tenuto a Nairobi, su iniziativa delle Nazioni Unite, sul tema “Internet come catalizzatore del cambiamento: accesso, sviluppo, libertà e innovazione”, quando è giunta la notizia, veramente passata quasi sotto silenzio dalla stampa, dell’approvazione, nel cosiddetto pacchetto sicurezza, tra gli altri, di un emendamento del senatore Gianpiero D’Alia (UDC) dal titolo “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”. La norma prevede la possibilità di far oscurare la visibilità di un sito in Italia ovunque si trovi, anche se all’estero; basta un provvedimento del Ministro dell’Interno che disponga l’interruzione dell’attività del blogger, ordinandone il blocco ai fornitori della connettività alla rete internet. L’attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro 24 ore; pena, per i provider, di sanzioni da 50.000 a 250.000 euro. Per i blogger è invece previsto il carcere da 1 a 5 anni oltre ad una pena ulteriore da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico.
Se si aggiunge alla proposta di legge Cassinelli e all’istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che dovrà presentare al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al “pacchetto sicurezza” di fatto rende esplicito il progetto del Governo di “normalizzare”, con leggi di repressione, internet e tutto il sistema di relazioni e informazioni che finora non riusciva a dominare. Sia chiaro: qui non vogliamo difendere chi commette reati a mezzo internet. Ma non c’è motivo di stabilire regole diverse da quelle esistenti per i comuni mezzi di informazione perché non c’è differenza nella sostanza degli eventuali reati: l’unica differenza è che internet è alla portata di tutti i cittadini, mentre gli organi di stampa hanno bisogno di grandi investimenti e, quindi, sono più facilmente controllabili altrimenti.
Internet è stata negli ultimi anni la vera grande rivoluzione che ha trasformato l’economia, i rapporti sociali e la politica dell’intero mondo, sfuggendo, peraltro, alla possibilità di controllo del “potere”. Ma cos’è internet? Internet è una rete di comunicazione, ideata per scopi militari e cresciuta invece per scopi civili. Lo scopo iniziale di internet era quello di creare un sistema invulnerabile in casi di conflitti. Fu ideato pertanto un sistema di collegamenti tipo le reti a maglie esagonali che si usavano una volta per recintare i pollai, dove i lati erano i cavi di collegamento e i nodi le centrali di smistamento. La comunicazione, piuttosto che passare attraverso fili diretti tra le parti, come allora per il telefono, sceglie la strada più diretta e libera in quel momento. Se per caso la rete è in qualche caso “smagliata”, la comunicazione aggira il guasto e arriva comunque a destinazione. Ciò fa sì che, se per ipotesi uno stato vuole interrompere i cavi che attraversano il suo territorio, il sistema funziona comunque e anche i suoi cittadini possono comunque collegarsi o con una telefonata internazionale o, ultimamente, con i satelliti che trasmettono la tv digitale (tipo sky). Ciò spiega perché internet sfugge al potere, tant’è che la Cina, uno di paesi che più teme l’influsso nefasto di internet sul suo potere politico, ha ormai rinunciato a censurare i motori di ricerca e i social network ed ha invece organizzato un vero e proprio dipartimento di disinformazione che mette in circolo, nei social network e in siti farlocchi, notizie di disinformazione che confondono gli utenti reali.
Se alla natura del sistema tecnologico, si aggiunge il bassissimo costo di uso per l’utente, si capisce perché internet è diventato quel grande motore di una rivoluzione economica e sociale. Grazie a internet funziona una buona fetta del turismo locale della nostra zona che riesce a pubblicizzare in tutto il mondo residenze di pregio una volta abbandonate in zone sperdute delle nostre campagne e inaccessibili anche ai locali. E grazie a internet migliaia di micro imprese che si trovano in zone sperdute del mondo riescono a vendere i loro prodotti, spesso di pregio, saltando i passaggi degli intermediari e dando quindi un contributo importante alle economie locali.
Finora internet è stato il sistema di comunicazione più democratico e più libero perché praticamente privo di controlli “politici”. Oggi però è mutato il contesto. Dopo le rivolte arabe, gli scontri diplomatici sul controllo della rete, niente è più come prima. Sono per esempio aumentati gli stati che rivendicano il potere di “spegnere la rete” (tra questi ci sono gli Usa) che si trovano contro i cittadini che l’hanno usata per smobilitare regimi autoritari. Alcuni stati continuano a brigare per mettere l’Internet Governance Forum sotto tutela obbligandolo a un processo di decision making di tipo governativo, cioè vincolante e normativo, basato sulla logica degli “interessi nazionali” invece che sulle buone pratiche e l’idea di Internet come bene comune. Ora, se pensiamo al potere che la Cina ha in seno alle Nazioni unite, è facile capire come una scelta del genere metterebbe fuori tutti gli enti finora più attivi a mantenere la rete libera dai condizionamenti della geopolitica.
Ed é proprio il ruolo svolto da internet nelle rivolte africane che preoccupa gli Stati autoritari (tra cui anche l’Italia?). Le autorità cinesi, iraniane e siriane hanno a più riprese mobilitato ingenti forze per bloccare le manifestazioni antigovernative organizzare via facebook e twitter per timore di un effetto domino dopo le insurrezioni in Tunisia, Egitto e Libia favorite  proprio da un uso massiccio della rete fra i giovani, dai social network e dalle tv satellitari.
Il Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa ha invece deciso di  adottare e diffondere  una serie di raccomandazioni, “10 principi per la tutela di Internet”, volte a proteggere l’universalità, l’integrità e l’apertura della rete salvaguardando la libertà d’espressione e l’accesso all’informazione online. Si citano i rischi di quelle forti concentrazioni sul mercato dei media che minacciano pluralismo, scelta e diversità dei contenuti, e si sollecitano gli Stati a individuare forme di autoregolamentazione condivise con gli utenti della rete e i nuovi media a rispettare le regole giornalistiche ma senza costringerli a farlo.
Il Consiglio d’Europa richiama alla responsabilità degli Stati nel garantire la tutela dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, nelle raccomandazioni si parla quindi di governance partecipata, rafforzamento del potere di azione degli utenti internet; universalità, integrità, gestione decentralizzata di Internet; di standard aperti, interoperabilità e natura end-to-end della rete; di open network e di diversità culturale e linguistica.
Il governo italiano va controcorrente. Chi sa. Forse il premier pensa alla fine che hanno fatto i suoi amici Gheddafi e Mubarak e al ruolo che internet ha avuto in Italia per il successo dei referendum di giugno e per la raccolta delle firme del referendum sul porcellum.
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