Da agente farmaceutico ad artigiano: la storia di Salvatore Fazzino, l’uomo che realizza penne artigianali in legno

Penne di Carrubbo, Gelso, Milicuccu, Limone, Mandorlo e Ulivo. Penne che raccontano la storia di un territorio, ma anche quella di un uomo, il loro creatore: Salvatore Fazzino, avolese di nascita, agente farmaceutico per lavoro, artigiano del legno per scelta. Una scelta che, ormai, è diventata sinonimo di unicità. Perché ogni penna è figlia unica: le venature del legno sono proprio come le impronte digitali e non esiste al mondo una penna di Salvo Fazzino uguale ad un’altra.

Salvatore Fazzino ci riceve nella sua bottega di contrada Pizziddu a Ragusa (ci rifiutiamo di scrivere Pozzillo o Pezzillo) e subito ci fa sentire a nostro agio. Un uomo divertente, estremamente ironico, che lavora incessantemente nella sua bottega e che sembra ben felice di poter ricevere persone. La storia delle sue penne inizia dalla campagna e finisce in laboratorio: “Sono generalmente legni che non si trovano in commercio facilmente, infatti all’inizio andavo dagli amici che potavano gli alberi perché volevo dare a questo legno una dignità, una vita. Altrimenti, sarebbe finito al macero o nel fuoco”, ci racconta.

Dare vita a qualcosa che non avrebbe altrimenti vita. Sembra questo il leitmotiv di Fazzino e delle sue Sygla, il marchio che successivamente ha registrato e dato alle sue penne: “Il legno è vita, e io non lo vernicio. Per me è un hobby perché amo costruire le cose e avere il tornio è sempre stato il mio piccolo sogno. Mi ha dato la possibilità di finire un oggetto in giornata”, ci racconta.

Ma com’è iniziata questa avventura? Salvatore Fazzino, infatti, non è nato artigiano, piuttosto potremmo definirlo un autodidatta: il suo lavoro era quello di agente farmaceutico: “Facendo questo lavoro, la penna si usava molto. E ho pensato che potevo costruirmele da me e perché no? Regalarle magari a qualche medico. Pensavo, molto banalmente, di risparmiare. Macché…”, ci dice ridendo. I primi modelli sono naturalmente dei prototipi: un modo per iniziare, affinare la tecnica ed effettuare le prime indagini di mercato. Ma poi, arriva la svolta: la creazione di Cygar, la sua prima penna: “Ne regalai una al noto chef Ciccio Sultano che all’epoca mi consigliò di registrare un marchio e così ho fatto”. E il gioco divenne serio, fino al punto da decidere di lasciare il lavoro “ufficiale” per dedicarsi interamente al mondo dell’artigianato e della realizzazione di penne in legno: “La Cygar mi ha permesso di entrare in questo mondo e siccome senza passione non si fa nulla, e io devo fare per forza le cose che mi piacciono, nel 2011 ho deciso di acquistare il tornio. Nel 2017 lascio definitivamente il lavoro e da lì vi è stata un’accelerazione”.

Nascono, così, le penne Liolà e Nyca. Liolà, dedicata al noto personaggio pirandelliano, con cui Salvo Fazzino dice di identificarsi e Nyca, una penna da borsetta.

Attualmente Salvo Fazzino ha nella sua “scuderia” diversi modelli: Milord e Corrado (dedicata al papà) sono sicuramente i modelli più importanti. Poi, seguendo il filone pirandelliano, si aggiungono Tuzza e Mita, le due donne di Liolà. Tuzza è una penna “veloce”, dinamica, a click, mentre Mita è dolce e calma: è una matita.

Dall’anno scorso, poi, si sono aggiunge anche altre tre penne dedicate ad altrettante persone importanti che hanno segnato la vita di Fazzino e che purtroppo sono venute a mancare: una, la Enzo, è dedicata a Enzo Criscione, l’uomo che ha stimolato e dato consigli a Salvatore Fazzino nella realizzazione delle penne: “Senza di lui, non ci sarebbe Sygla”, ci spiega.

Un’altra, Mimì, è dedicata alla cara memoria di Marcello Perracchio: “Mi spiegò che tutti i regali che faceva dovevano essere mie penne. Ed è stato di parola”, ci racconta. L’ultima penna, in ordine di creazione, è Cola, un pratico portachiavi dedicato a Colapesce e alla sua leggenda: “Era uno dei cunti della mia bisnonna. Proprio come Colapesce, Cola si “sacrifica” per diventare un portachiavi, anche se in realtà è una penna”.

E ci piace l’idea di una penna che possa essere strumento di identificazione, l’unico oggetto in grado di avere vita propria dando voce alle nostre emozioni e ricordi. Proprio come ci suggerisce la poetessa Annalisa Distefano:

“Non è forse una delle armi più potenti una penna?

Io credo proprio di sì.

È lo strumento che ci identifica, ci fa mettere nero su bianco, ci giudica, ci osserva, ci suggerisce, ci aliena in mondo parallelo, ci mette amore in chiesa, ci mette rabbia in tribunale, ma è sempre lei a decifrare il canale testa/mani, lasciandoci delle volte righe bianche.

E in queste righe bianche è l’unica testimone capace di rendere reale e concreto un sogno, un profumo, un ricordo, una memoria”.

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