“CONCETTO AL BUIO”: TALENTI TUTTI SICILIANI PER UNO SPETTACOLO CHE FA DISCUTERE

La verità non sembra mai essere assoluta e profondamente reale, ciò che si vede non rispecchia mai ciò che è, e ciò che si sa e si assume per vero non smette mai di essere radicalmente falso. La più pervicace mendacia pervade di sé la vita di ognuno dei personaggi dello spettacolo Concetto al buio, trasposizione teatrale dell’intenso romanzo del palermitano Rosario Palazzolo, portato in scena il 25 e il 26 febbraio scorsi, in tre repliche andate sold-out presso il centralissimo teatro Scenario Pub.bli.co. di Catania. Protagonisti tre attori di eccezionale intensità: Agostino Zumbo interpreta il controverso ruolo di una guida spirituale che con non limpida onestà cede alle lusinghe della propria autorità morale; mentre il catanese Francesco Maria Attardi e il ragusano Giovanni Arezzo si calano nei panni quasi indistinti di due personaggi che sembrano essere uno, e in un alternarsi volutamente confuso e nebuloso di vicende varie ma tragicamente identiche, parlano talmente all’unisono da diventare tre in un crescendo di colpi di scena confluenti in un tanto sorprendente quanto straziante finale in cui si scopre che nessuno è chi dice di essere e, ben più terribile, nessuno è chi crede di essere.

Il punto di vista, il linguaggio e lo stato d’animo sono quelli sregolati e caotici di una duplice voce narrante ingenua e ignorante a causa della sua giovanissima età, ma già disincantata e ammalata di una cieca rabbia folle a causa delle ingiuste avversità che le “due tragedie” della sua breve vita le hanno riservato. È rinchiuso, il piccolo Concetto, nomen omen, nel buio di un concetto che con una sagace ambiguità rende sin dal titolo e dall’incipit la duplice valenza di ogni realtà. Ottime anche le scene allestite da Nanni Ragusa e Anna Scordio: nessuna luce, nessuno spiraglio verso l’esterno, contatti falsati con personaggi di contorno sfumati e surreali, mai definiti e mai concreti, ma solo immaginifici volti oscurati forieri di voci oniriche, di incubi dai quali è inutile sfuggire. Trovate scenica davvero magistrali che confermano il talento e l’impegno del regista Guglielmo Ferro, che nello spettacolo e nel suo messaggio di fondo ha evidentemente creduto molto, vista la potenza del risultato.

Tema portante dello spettacolo è dunque la realtà che mai è sinceramente tale: nel caso specifico la menzogna più atroce chiama in causa la vexata quaestio, delicata e controversa, della pedofilia in ambito ecclesiastico, e del pudico silenzio omertoso che in certi spaventosi casi aggiunge orrore all’orrore, lasciando sole e attonite le innocenti vittime. Forse un facile cliché, forse una scomoda provocazione: anche qui l’ambiguità è mantenuta.

Forte e implacabile il messaggio, saldamente strutturato il testo e impeccabile la regia: la prova degli attori non poteva che emozionare il pubblico fino al totale coinvolgimento empatico con i personaggi. Plauso alla produzione, dunque, e attendiamo con ansia che lo spettacolo esca da Catania, visitando magari i teatri ragusani.

 

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