È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
Che palle i divi! Il mito del tallone d’Achille
26 Giu 2017 10:07
Che palle i miti, i divi, le star, i
campioni, i superman, tutti i giorni e a tutte le ore, su tutti i canali tv, su
tutti i rotocalchi, su tutte le bocche di tutti, una monotonia che dura da
millenni!
Ai tempi dell’antica Grecia c’erano, come
ci sono ora, i ricchi e i poveri. I ricchi non lavoravano e passavano il tempo
nell’agorà a fare affari, a chiacchierare, a filosofare, a godersi la vita. I
poveri col loro lavoro consentivano ai ricchi di menare il proprio agio.
I figli dei poveri imparavano, fin da
piccoli, a maneggiare zappa, forconi ed arnesi vari per trarre dalla madre
terra i frutti necessari al loro sostentamento e al benestare dei ricchi.
I figli dei ricchi imparavano invece a
maneggiare le armi e a fare la guerra. Si facevano costruire delle bellissime
armature d’acciaio splendente ed elmi dal pennacchio svolazzante. Così
agghindati con spada al fianco e lancia in mano trascorrevano le loro giornate
a gironzolare come dei pavoncelli ammaestrati senza concludere nulla di buono.
Sul loro conto, tuttavia, circolavano storie, spesso montate ad arte, di epici
combattimenti e di eroiche gesta.
I figli dei poveri li guardavano ammirati,
si appassionavano alle storie e tifavano chi per l’uno chi per l’altro. Come
oggi ogni ragazzo ha la sua squadra, così allora ognuno aveva il suo eroe del
cuore e ogni baldo giovane metallizzato poteva contare su un certo numero di
fan. Ma uno sovrastava tutti gli altri per fama e per ammiratori. Si diceva che
non avesse mai perso un combattimento e che addirittura, sentite sentite, fosse
invincibile.
Nella bottega di mastro Ciliegia, proprio
di questo eroe di acciaio, discutevano, un giorno, i ragazzini e, intenti ai
loro compiti, si accaloravano, si entusiasmavano, si infervoravano. Allora
mastro Ciliegia che non era solo un buono artigiano ma anche un gran saggio,
provò tenerezza per i suoi giovani aiutanti e inventò per loro la storia di Achille.
«C’era una volta un giovane, dal nome
Achille, forte e gagliardo come il vostro beniamino e di più ancora: era figlio
di una dea, la nereide Teti! Questa era bella assai e brava e saggia ed era
desiderata, pensate pensate, da Zeus e Poseidone che si contesero accanitamente
la sua mano fino a quando Prometeo profetizzò che avrebbe generato un figlio
più potente del padre. Allora i due, che tenevano al loro potere più di ogni
altra cosa, rinunciarono alle loro pretese e costrinsero Teti a sposare il
mortale Peleo re dei Mirmidoni di Ftia.
Teti, quando Achille nacque, volle il figlio
immortale come lei e lo immerse nel fiume Stige e così il bambino divenne
invulnerabile in tutto il corpo tranne nel tallone destro dove la madre lo
tenne per immergerlo nell’acqua del fiume.
Achille crebbe sano, forte e di spirito
bollente e divenne un guerriero fortissimo e abilissimo. La madre gli fece
costruire dal dio Vulcano un’armatura speciale assai che, a solo guardarla,
incuteva paura. Compì gesta strabilianti cantate da tanti poeti e il grande
Omero lo fece protagonista del suo poema l’Iliade che racconta la guerra dei
greci contro Troia, la città di Ilo. Là Achille trovò la morte colpito al
tallone destro da una freccia avvelenata scagliata da Paride.
Non gli valse a nulla essere figlio di una
dea e forte e bollente e gagliardo e invulnerabile ché, anche lui, trovò la
morte a causa di una stupida freccia. E passerà anche il vostro beniamino.
Allora, figli miei, non sprecate tante ciance per le sue gesta e pensate di più
alle nostre gesta quotidiane che sono più eroiche assai perché ci consentono di
godere della nostra bella vita di comuni mortali»
Ragusa, 21 gennaio 2010
Ciccio
Schembari
Articolo
pubblicato sul n. 55/2010 “Che barba! I giorni della monotonia” della rivista
ondine www.operaincerta.it
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